Un vicario di periferia

Sarà il parroco di Marcetelli ad aiutare il vescovo Lucarelli in qualità di vicario generale.

È don Jaroslaw Krzewicki (Jarek) il Vicario generale che Mons. Delio Lucarelli ha scelto per essere aiutato ad affrontare le varie problematiche che si presentano, con competenza e con celerità. A poche ore dalla nomina, l’abbiamo incontrato per conoscerlo meglio e approfondire questo passaggio della vita diocesana.

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Don Jarek, forse non tutti conoscono la funzione del vicario generale. Ci spieghi in due parole cosa fa?

Il vicario è al servizio stretto del vescovo. Per svolgere il suo ministero il vescovo può servirsi anche di qualcuno che lo aiuti, lo sostituisca in caso di necessità, e sia il suo braccio destro avendo una podestà esecutiva. Il vicario generale svolge in termini pratici questo ruolo, è di supporto e aiuto al pastore della Chiesa locale nel suo compito. Ha gli stessi poteri che ha il vescovo, ma in modo derivato dal vescovo stesso.

Con quale spirito hai preso la nomina?

Beh, all’inizio l’avevo scambiata per una battuta. Poi quando la faccenda ha cominciato a farsi seria l’ho presa un po’ male. Non l’ho detto al vescovo, però sentivo grandi perplessità e le ho comunicate al mio direttore spirituale. E lui mi ha detto: «devi accettare». Me lo ha proprio imposto. Quando poi il vescovo è tornato sul discorso ho dato la mia piena disponibilità. Non sono né felice o contento, né triste. Sono tranquillo, sostanzialmente non è cambiato niente. È un sevizio preciso che debbo svolgere per il vescovo. Nei confronti degli altri sacerdoti e dei fedeli non cambia nulla. Cambia qualcosa per me, mi debbo riorganizzare perché ovviamente non potrò portare avanti altri impegni. Ma guardo avanti con fiducia.

Qualcuno potrebbe dire: «con tutti i preti che ci sono, due o tre qualità don Jarek non le ha. Non è italiano, è molto giovane, e un reatino conoscerebbe meglio il territorio»… tu come risponderesti a queste obiezioni?

Beh, il vicario generale non lo nomino io, ma il vescovo. Sicuramente si è posto anche questi problemi e ha fatto le sue valutazioni. Sono giovane? Grazie del complimento, ma siamo realistici: a quarant’anni non si è più giovani. In quest’età si può senz’altro fare qualcosa di impegnativo. Sono polacco, ma non troppo tempo fa qualcuno sembra aver dimostrato che non è necessariamente un limite per il servizio alla Chiesa. Non conosco a fondo la diocesi forse è vero, ma chi la conosce davvero, e poi: chi conosce se stesso fino in fondo? Credo che quattordici anni al servizio siano stati importanti per entrare in questa realtà. Abbiamo tutti punti di vista diversi, ma tutti serviamo la stessa Chiesa diocesana. Forse non ero sempre visibilmente presente. Ma il fatto di non esser visti, non vuol dire che non si vede. Però ripeto: la scelta l’ha fatta il vescovo, e la mia risposta è nella disponibilità alla sua decisione.

Secondo il tuo punto di vista, quali sono le urgenze della nostra diocesi e della nostra Chiesa?

Parlavamo dei diversi punti di vista. Come fedele ognuno di noi ha il diritto di presentare ai pastori della Chiesa le proprie esigenze e i propri suggerimenti. Come sacerdote avrei da dire tanto di quello che mi sta a cuore. Ma come vicario generale non conta tanto quello che penso io. La mia urgenza è sostenere il vescovo. Conta svolgere quello che lui ritiene necessario in questo momento. Però c’è una cosa che credo stia a cuore a tutti: è l’unità che deve esserci tra noi sacerdoti e il nostro vescovo, la comunione che deve esserci tra noi sacerdoti e il nostro popolo. È un campo sempre da sviluppare e approfondire. Tanti di noi sacerdoti devono tornare a sentirsi amanti dalla Chiesa e devono ritrovare la gioia di servirla. E anche tanti dei nostri fedeli hanno bisogno di sentirsi membri della Chiesa e mettere al suo servizio i propri talenti.

C’è il tema delle vocazioni…

Sì, noi sacerdoti siamo circa 100 in diocesi, ma più di un terzo del clero è composto dai preti venuti da lontano. E una gran parte dei sacerdoti sono assai anziani. Allora c’è l’urgenza grandissima di pregare perché nascano vocazioni nuove locali. Penso sia necessario riproporre il tema di una seria pastorale vocazionale, da manifestare anche attraverso una grande preghiera della diocesi per chiedere nuove vocazioni al servizio di questo popolo.

Dopo di che seguiamo quello che ci dice Papa Francesco. Lui ci invia in periferia, in tutti i sensi. Forse dal centro si vede la Chiesa piena di realtà, di comunità, di gruppi diversi. Però anche la periferia fa parte di questa Chiesa. Penso ai paesini più dispersi, ad esempio a quelli del Cicolano. Ci abitano poche persone, magari anche anziane. Ma anche loro sono la diocesi. Lì ci sono le radici di tanti. Bisogna custodire questi pezzi di storia, prendersi cura di queste parti abbandonate, perché poi la gente torna. E quando pensiamo alle periferie da curare guardiamo anche quelle periferie esistenziali. Pensiamo ad esempio ai migranti, una presenza in costante aumento. Credo siano questi i temi che debbono essere affrontati e forse la vera urgenza è quella di sentirli di più.

Abbiamo la sensazione che ci sia un divario tra la Chiesa ufficiale e la vita del popolo. Forse c’è sempre stato, ma oggi sembra un fenomeno in crescita. Perché?

Non ho una risposta a questa domanda. È molto complessa. Posso dare un contributo nel mio piccolo, ma sono sicuro che ognuno potrebbe aggiungere qualcosa. Probabilmente, noi che siamo chiamati a trasmettere la parola di Dio – non solo sacerdoti – siamo disposti a parlare, a dire tante cose. Ma siamo un po’ meno capaci di ascoltare. E forse tante volte non sentiamo le esigenze del nostro popolo. Che però sembra doverci comunicare qualche cosa di importante. E anche quando ci dice parole che esprimono la sua quotidianità, noi forse non siamo troppo attenti. Ma questa questione dell’ascolto è solo uno degli elementi, il problema è molto, molto più complesso.

La funzione di vicario ti impegnerà per tutto il tempo che mons. Lucarelli sarà vescovo di Rieti: qual è l’esortazione che senti di voler fare?

Questo momento non è particolarmente importante. C’è una continuità: la mia nomina è soltanto un piccolo cambiamento nella vita della diocesi, non c’è niente di straordinario. Però vorrei ringraziare i tanti sacerdoti che in questi giorni hanno manifestato il loro affetto, la vicinanza, la simpatia, l’incoraggiamento. E ringrazio anche i tanti fedeli che hanno fatto lo stesso e i miei parrocchiani. Io inviterei tutti a camminare insieme, ad essere veramente vicini, ad essere disposti a portare questa eredità della nostra diocesi. Potrei chiedermi se sono in grado di svolgere questo compito. Ma a che titolo potrei farlo? È il Signore che si sceglie le persone. La nostra prima preoccupazione per essere davvero servi di questa Chiesa è pensare meno a chi siamo, da dove veniamo, quali studi abbiamo fatto… la cosa più importante è come siamo davanti al Signore. Siamo capaci di pregarlo, di fargli spazio, di metterci al suo servizio e lasciarlo agire? Sono disposto ad assumermi la responsabilità e la croce dell’impegno che mi è stato affidato. Sono tranquillo. So che il vescovo chiama i suoi collaboratori perché l’aiutino a portare la sua croce. Sappiamo bene che quando Gesù portava la croce erano in pochi ad applaudirlo. Ma la diocesi la propria croce la porta a Cristo. La nostra speranza è che si realizzi il grande desiderio che nasce nel momento decisivo della storia della Chiesa: ut unum sint. È quello di essere uniti il mio augurio. Uniti intorno al vescovo, uniti come clero e come popolo di Dio, che non vuole altro che cresca il Suo Regno.