Un viaggio nella Rivoluzione Russa: “L’anno nudo” di Boris Pil’njak

La Russia, una delle grandi potenze del nostro tempo, ma anche, al tempo stesso, una delle realtà che meno conosciamo e che troppo spesso forse riduciamo ad un mero stereotipo. Durante tutto il Novecento, tra Russia ed Italia c’è sempre stato uno strano rapporto di attrazione e repulsione reciproca, si è sempre avvertita una certa voglia di conoscere quel mondo tanto lontano, ma allo stesso tempo ci siamo spesso imposti freni dovuti alla paura dell’allora temuto Pericolo Rosso. Ma come possiamo oggi comprendere la Russia? Forse, un modo per capirla è cercare di comprendere cosa abbia generato questa realtà contemporanea, immergendosi nel periodo più complesso ed importante di tutta quella terra, ovvero, la Rivoluzione russa.

Definito il più grande romanzo sulla rivoluzione russa, L’anno nudo di Boris Pil’njak è forse una delle cronache più sincere, accattivanti, appassionate e disilluse di questa incredibile esperienza sovietica. L’autore non prende in esame i grandi avvenimenti delle città, bensì si concentra su quello che avviene nel 1919 nel piccolo borgo di Ordynin, nel quale l’antica nobiltà arroccata nel suo castello, ormai impotente, vede svanire il suo potere sottratto dall’ascesa dei bolscevichi. Il grande principe Ordynin (lo stesso Pil’njak dirà di non sapere se sono stati i principi a dare il nome al paesino o il paesino ad aver imposto il nome ai principi) viene presentato come un vecchio gonfio di vizi e dedito alla dissolutezza reso bigotto dalla paura della morte mentre la sua consorte, ritratta come una donna che vive nella sporcizia, rappresenta il declino del mondo antico della nobiltà. I loro cinque figli soffrono tutti di sifilide ereditaria, due delle ragazze sono corrotte mentre i due fratelli sono una strana coppia, uno morirà suicida, l’altro invece rappresenta l’anima candida e pura dell’intellettuale inutile che non sa come agire. Unico barlume di luce in questo sfacello è Natal’ja, emblema della razionalità e studentessa di medicina, la quale deciderà di andare a vivere a Mosca con Archipov, il suo futuro marito, che sposerà non per amore, ma per un puro istinto razionale. Attorno a questa nobile famiglia però, ruota un vorticoso insieme di personaggi che ci fa capire che è il borgo stesso, con la sua devastazione dovuta alla rivoluzione, il vero protagonista del libro; Ordynin, presentata come ridente cittadina all’inizio del libro, ora è stravolta, povera, vessata dall’arrivo di coloro che fuggono la miseria delle grandi città in cerca di un po’ di cibo in campagna, ma, allo stesso tempo, il piccolo centro ci viene presentato rinnovato, pieno della speranza fiera e indomita della rivoluzione che si tinge del rosso del sole al tramonto, un rosso che abbraccia il giallo dello spirito mongolo delle steppe russe, ma che rimane allo stesso tempo squisitamente sovietico.

Leggere questo romanzo non è semplice, ma è un’esperienza che lacera l’anima e la arricchisce immensamente. La prosa di Pil’njak è intrisa di metafora, è frenetica, paragonata da molti ad un proiettile sparato all’impazzata dal quale non possiamo che osservare stralci di vita delle persone che incontriamo sul nostro cammino, ma non ci si deve lasciar frenare da tutto ciò. L’anno nudo è sicuramente uno dei grandi capolavori del Novecento sovietico e mondiale, un libro che racconta con una sincerità ed un obiettività sconcertante quella Russia che, nel tumulto della rivoluzione, continua a dibattersi tra le sue millenarie tradizioni e lo spirito europeo che vi aveva instillato Pietro il Grande, una Russia che cerca di sollevarsi dal fango in cui giace ma che fatica a trovare la strada da intraprenderte, in conclusione, una Russia che cerca la sua identità ma che non sa ancora dove trovarla.