Un Paese diviso per cui la guerra non è mai finita

La testimonianza di Senadin Musabegovic, uno dei più autorevoli poeti contemporanei: “La Bosnia è di per sé un ponte tra Oriente ed Occidente, per le sue caratteristiche di Paese multietnico. Questo deve essere un punto di partenza per costruire una pace vera, duratura”. E ancora: “Mi auguro che prima o poi possiamo entrare a far parte dell’Europa”. L’attesa per la visita di papa Francesco a Sarajevo il 6 giugno.

Un Paese lacerato e diviso, ostaggio di forti nazionalismi ma crocevia di popoli, religioni e culture che potrebbe riappropriarsi del suo ruolo di ponte tra Occidente e Oriente, e diventare pedina importante nello scacchiere geopolitico internazionale. Ecco la Bosnia ed Erzegovina che aspetta la visita di papa Francesco a Sarajevo il prossimo 6 giugno. Il programma è stato presentato il 14 aprile nella capitale e prevede, tra le altre cose, la Messa nello stadio Koševo, incontri con i giovani e con i consacrati, un momento ecumenico e uno interreligioso. Un viaggio che negli auspici del Pontefice vorrebbe contribuire “al consolidamento della fraternità e della pace, del dialogo interreligioso, dell’amicizia”. Il Sir ne ha parlato con Senadin Musabegovic, uno dei più autorevoli poeti della Bosnia ed Erzegovina contemporanea (molto conosciuta la sua raccolta “La polvere sui guanti del chirurgo”, Infinito Edizioni, 2007), scampato al mattatoio dell’assedio. Durante quel periodo ha combattuto nelle fila dell’esercito bosniaco per difendere la propria città.

Ha raccontato Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina prima nelle vesti di scrittore, poi con i versi: oggi come descrive il suo Paese che attende la visita del Papa?
“La Bosnia ed Erzegovina è un Paese diviso, per cui la guerra che è finita nel 1995 non è mai finita veramente ma si è soltanto fermata. Qui c’è un nazionalismo fortissimo che è stato una delle ragioni di questo conflitto crudele e sanguinoso. Esiste una forte divisione tra ricchi e poveri, qualsiasi idea di giustizia sociale è scomparsa”.

Di quella guerra è viva la memoria del lungo assedio di Sarajevo di cui lei ha avuto esperienza diretta. Come ricorda quei giorni che hanno ispirato la sua poesia?
“La guerra ha creato molte situazioni che io ho descritto nella mia poesia, soprattutto il senso di abbandono del corpo, la sua solitudine. È una poesia dove il linguaggio del corpo, i suoi dettagli, emergono chiaramente. Con l’assedio si è avuta questo tipo di trasformazione: la volontà di sopravvivere in guerra ha lasciato il posto alla volontà di sopravvivere nel mercato, caratterizzato da egoismo e competizione, dalla distruzione dell’altro. Un’altra cosa vorrei dire a proposito della guerra…”.

Prego…

“La guerra ha causato una paralisi della politica e della società civile. La gente sta accettando una situazione divenuta insopportabile, moralmente ed economicamente. Il pensiero comune è che tutto va bene piuttosto che avere la guerra. Sulla base di questo si accetta qualsiasi tipo di umiliazione. C’è, insomma, un immobilismo totale, un’indifferenza molto forte rispetto a ciò che succede in Bosnia ed Erzegovina. Manca la volontà di guardare al futuro, di costruire qualcosa”.

La guerra e l’assedio, che hanno causato migliaia di morti e feriti, non hanno però mai ucciso la grande tradizione culturale di Sarajevo…
“È paradossale perché, durante i giorni dell’assedio, esisteva davvero il desiderio di sopravvivere attraverso la cultura, mentre oggi i musei della Bosnia ed Erzegovina stanno chiudendo. C’è un abbandono totale dei luoghi di cultura, come se si volesse cancellare un passato comune. Non c’è più il desiderio di costruire un bene comune e un futuro insieme”.

E la comunità internazionale? Ha avuto delle responsabilità in merito?

“L’assedio è stato uno dei primi reality show del nostro tempo. Le immagini quotidiane di morte e distruzione sono diventate una sorta di spettacolo cui tutto il mondo ha assistito. Nessuno poteva dire di non aver visto o saputo. Ma nessuno ha fatto nulla. L’Europa ha sbagliato su due fronti: non ha saputo gestire uno Stato multietnico come la Bosnia perché ha sempre avuto una esperienza di Stati nazionali con una maggioranza ben definita. Inoltre non ha saputo cogliere l’importanza del dialogo con una comunità di musulmani moderati, aperti, occidentali. L’Europa con la Bosnia ed Erzegovina ha perso un’opportunità importante di dialogo col mondo musulmano e ora stiamo vedendo tutto quello che sta succedendo in Medio Oriente”.

La Bosnia ed Erzegovina come ponte tra Oriente ed Occidente: è ancora possibile?

“La Bosnia è di per sé un ponte tra Oriente ed Occidente, per le sue caratteristiche di Paese multietnico. Questo deve essere un punto di partenza per costruire una pace vera, duratura”.

Lei è sopravvissuto all’assedio grazie anche alla poesia. Ci sono “medicine” che possono guarire il suo Paese?
“Con tutti i suoi difetti, penso che la migliore possibilità che la Bosnia ed Erzegovina abbia sia dentro l’Europa. Mi auguro che prima o poi possiamo entrare a farne parte e spero in un dialogo vero tra le diverse religioni ed etnie. Il dialogo è l’unica possibilità che può aiutare il mio Paese ad uscire da questa situazione disperata”.

In che modo la prossima visita di Papa Francesco potrà aiutare la Bosnia ed Erzegovina?

“Mi auguro che questa visita sia sinonimo di apertura, che si possa iniziare un dialogo nuovo considerando che le religioni in diversi casi hanno supportato le fantasie del nazionalismo. Spero che il discorso del Papa vada controcorrente e spinga a favore di una sempre maggiore apertura tra cattolici, musulmani e ortodossi”.