Un futuro a mezza pensione

Si smetterà di lavorare molto più tardi, in alcuni casi a settant’anni. Ed in cambio si avrà mezza pensione. È il futuro previdenziale che le riforme di questi anni hanno predisposto per milioni di cittadini.

un problema di prospettive

Sempre con l’acqua alla gola, sempre alle prese con molteplici crisi, la nostra società diviene ogni giorno più incapace di guardare al futuro. Non è necessario fare chissà quale ragionamento per accorgersene. Basta guardare al mondo delle pensioni.

Di riforma in riforma sembra che il problema sia esclusivamente quello di trovare i fondi per continuare a pagare quelle già maturate. Altro che previdenza! Qui si guarda al presente, mica al futuro! Le soluzioni adottate finora – innalzamento dell’età pensionabile e passaggio dal sistema “retributivo” a quello “contributivo” – mirano a ridurre e rimandare nel tempo il diritto alla pensione delle generazioni d’oggi.

Una verità che molti lavoratori italiani forse ancora non conoscono, o alla quale si sono passivamente rassegnati.

equità previdenziale?

Per altri invece la cosa è addirittura positiva. Secondo il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, il sistema pensionistico italiano sta diventando «da più ingiusto a più giusto». (Lo ha dichiarato in una intervista concessa al TG1 lo scorso 2 ottobre). Il riequilibrio ci sarebbe perché «quello che si versa nel proprio salvadanaio previdenziale sarà quello che poi si trova alla fine della carriera lavorativa. Ringraziando il cielo – dice il presidente Inps – si vive di più! Vivendo di più si deve anche lavorare di più e lavorando di più si versano più contributi, e alla fine dell’età lavorativa, avendo versato più contributi, si avrà l’adeguata pensione».

il mondo reale

Il discorso non fa una piega, ma nel mondo reale vuol dire che tantissimi di quelli che oggi hanno dai venti ai quarant’anni praticamente non percepiranno la pensione. Sono i lavoratori precari, costretti al nero o a inventarsi “imprenditori di se stessi” (i così detti parasubordinati: i collaboratori occasionali o a progetto, le associazioni in partecipazione, le partite IVA individuali). Persone che non possono versare abbastanza contributi né farlo con continuità. Alcuni semplicemente non versano affatto. Data l’impostazione del sistema, gli assegni mensili erogati dagli enti previdenziali per queste categorie professionali si aggireranno, nella maggior parte dei casi, attorno al 30% degli ultimi redditi dichiarati.

scommettere la pensione

Ha un bel dire Mastrapasqua quando sostiene che per la pensione i giovani «dovranno iniziare presto, dovranno riscattare la laurea e dovranno lavorare in modo regolare». Dove sono quelli che assumono i giovani con contratti “veri” e che versano tutti i contributi? Dov’è quest’isola felice della continuità occupazionale?

Per Mastrapasqua la nuova previdenza è «una scommessa nel mondo del lavoro, una scommessa nel mondo produttivo, una scommessa con se stessi». Ma qui non c’è nemmeno il tavolo su cui giocarla questa scommessa. E poi cosa c’è da scommettere? Si può ridurre il futuro di intere generazioni ad un azzardo, ad una faccenda da bisca, da tavolo verde, da casinò? Sì, se il banco incassa! paiono dire Inps e governi.

il mondo al contrario

Siamo alle solite. Come per la sanità e la scuola, anche per le pensioni si interviene sulle persone per far star meglio i conti, mica sui conti per far star bene le persone. La nostra è una società al rovescio, in cui i mezzi sono diventati gli scopi, in cui le soluzioni sono peggiori dei mali, in cui non si fa altro che segare il ramo su cui si è seduti. Con l’economia che ha sostituito la vita, il nostro sistema ha cominciato a mancare di lungimiranza, con l’aggravante di affidarsi a cattivi ragionieri.

L’innalzamento dell’età pensionabile ne è un esempio. Andrebbe bene se si accompagnasse alla crescita del Paese e all’ingresso dei più giovani in un mercato del lavoro bonificato dalle storture. Ma per come è fatto serve solo per tenere a lavoro chi già c’è, ostacolando l’ingresso di chi il suo futuro lo deve costruire. Il tutto per dare respiro all’Inps diminuendo il numero di quelli che deve sfamare.

l’ingustizia “atipica”

Così, nel silenzio generale si sta innescando una sorta di bomba previdenziale. Gran parte delle pensioni di oggi le stanno pagando i lavoratori atipici, persone che spesso producono di più e meglio dei “tipici”, ma sono costrette ad accettare condizioni di lavoro assurde e senza sbocchi. Una generazione di esclusi e sprecati cui si offre solo sussistenza, ricatti e lavori temporanei sottopagati. Uomini e donne troppo presi dal dover campare un giorno appresso all’altro per potersi fermare a riflettere sulla prospettiva di una pensione da fame. Per quanto tempo questi soggetti deboli e sfruttati continueranno a sostenere le casse previdenziali e a pagare le pensioni di chi ha avuto un impiego sicuro e ben pagato?

un orizzonte di conflitto

È urgente diffondere la consapevolezza del problema, cercare di portarlo in primo piano, dargli risonanza e trovargli rimedio. Altrimenti si corre il rischio di una frattura generazionale, di un conflitto sociale alimentato dall’iniquità, dalla disillusione e dalla disperazione.

la dignità al centro

Si possono fare tutte le riforme che si vogliono, ma prima di mettere mano a questioni che hanno a che fare con le parti più fragili e delicate della vita delle persone, bisognerebbe tenere presente l’obiettivo di conservare e difendere la loro dignità. Solo questo assicura la giustezza di ogni riforma, di ogni soluzione, di ogni sistema. Ma nell’Europa di oggi non sembrano essere questi i valori che muovono le scelte. Ed il prezzo che i cittadini sono chiamati a pagare si fa sempre più caro.