Chiesa

Ucraina, Progetto del Papa: in 4 anni aiutato un milione di persone

Sono i frutti del progetto "Papa per l'Ucraina" avviato nel 2016 con 15 milioni di euro investiti: ora sta terminando ma lascia dietro di sé una scia luminosa di collaborazione ecumenica e di carità che non si arresta

Preghiera e carità: sono le braccia che il Papa ha proteso dall’inizio del suo Pontificato verso il caro popolo ucraino con un’attenzione particolare alle vicende dolorose di guerra che lo affliggono sin dal 2014. Francesco le ha portate all’attenzione del mondo in diverse occasioni, pubbliche e private, come ha fatto al termine della preghiera dell’Angelus di domenica scorsa, salutando con speranza il cessate-il-fuoco nella zona di confine con la regione separatista del Donbass.

Parlare di un conflitto mai sanato, definirlo una “ferita” in cui i bambini pagano il prezzo più alto, e sollecitare la comunità internazionale perché arrivi a soluzioni che portino “frutti di pace nella giustizia, “è importante per noi ucraini” dice al nostro microfono, monsignor Eduard Kava, vescovo ausiliare di Leopoli.

La sua testimonianza ci aiuta a ripercorrere l’evoluzione del progetto umanitario “Papa per l’Ucraina” voluto da Francesco come segno concreto di affetto e solidarietà senza distinzioni di religione, confessione o appartenenza etnica. A disposizione mezzi di riscaldamento, medicinali, abiti e cibo, strumenti per l’igiene e supporti psico-sociale. “Progetti – spiega monsignor Kava – tutti portati a termine, resta ora il lavoro di fornitura di macchinari per un ospedale dedicato ai bambini”.

L’azione, affidata alla vigilanza del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, è stata realizzata in questi anni in loco – attraverso la costante collaborazione della Nunziatura Apostolica – da un Comitato tecnico situato a Zhaporizhia, per il primo anno, e dal Segretariato tecnico basato a Kiev per l’anno successivo. Al loro fianco, di concerto, gli organismi di carità della Chiesa ma anche altre confessioni cristiane e le organizzazioni internazionali appositamente incaricate.

“Un bel segno di ecumenismo”, osserva monsignor Kava, che parla di un lavoro fatto veramente insieme, al servizio di poveri, bambini con disagi legati agli stress della guerra, famiglie numerose, anziani che hanno perso tutto e che vivono con pensioni molto basse. “Quell’emergenza non c’è più, ma – fa notare il presule – alcuni bisogni restano e ancora serve il lavoro della Chiesa”.

R. – La situazione è molto seria perché sono tutti stanchi. Ogni giorno, come in guerra, ci sono morti e ancora tanta gente è in ospedale per le conseguenze della guerra e soprattutto la gente normale, non i militari, soprattutto la gente che è rimasta in questa zona occupata, vicino la linea di guerra, loro sono tanto stanchi. Soprattutto i giovani che vivono al confine e che non possono spostarsi perché non ne hanno la possibilità. Per questo la voce della Santa Sede e del Papa per noi ucraini è molto utile perché permette al mondo di sapere che qui il conflitto dal 2016 non è ancora terminato.

A che punto è oggi il progetto iniziato nel 2016 e intitolato “Papa per l’Ucraina” con tutti i suoi risvolti nel campo educativo, sociale e sanitario?

R.- I progetti ad esso collegati sono quasi tutti terminati. Ora, l’unico che resta è legato all’acquisto di macchinari medici per un ospedale in costruzione. In questi anni abbiamo usato circa 15 milioni di euro provenienti dall’aiuto della Santa Sede e possiamo dire di aver aiutato più di 980 mila persone in tante direzioni. Ospedali, poveri, famiglie numerose, anziani che sono rimasti soli e senza niente, senza cibo, senza vestiti ,senza riscaldamento perché da noi normalmente l’inverno è molto freddo. Adesso possiamo dire che siamo alla fase conclusiva di quel progetto del Papa.

L’idea di quel progetto era sicuramente supportare una situazione di emergenza ma anche cercare di avviare una ricostruzione. Ad oggi dopo tanti anni si può parlare di ricostruzione?

R. –  Posso dire che noi abbiamo fatto tanto anche nella ricostruzione delle case per ridare alla gente una parvenza di normalità. Oggi possiamo dire che la situazione non è così tragica come 4-5 anni fa, però è evidente che, per esempio, famiglie che hanno tanti bambini e anziani che ricevono piccole pensioni hanno ancora bisogno di aiuto da parte della Chiesa.

A proposito delle tante persone che erano andate via dal Paese e che si sperava tornassero, cosa ci può dire?

R. – Tanti di coloro che erano andati via sono rientrati nelle loro case. Tutti credevano che la guerra finisse in pochi mesi, invece sono 6 anni e non si vede una fine. Per questo sono rientrati nelle loro case, tranne coloro che sono usciti dalla zona occupata e che non tornano per il pericolo di vita.

Altro aspetto del progetto voluto dal Papa era la collaborazione tra le Caritas e le Chiese latina e greco-cattolica. Sotto questo punto di vista siete riusciti ad essere uniti?

R. –  In questo progetto abbiamo lavorato tutti insieme, non solo Caritas latina e Caritas greco-cattolica, abbiamo collaborato con i protestanti  e con tante organizzazioni internazionali e questo è stato per noi un segno di buon ecumenismo  e si può dire che questa iniziativa della Santa Sede era l’unica dove tutti abbiamo lavorato veramente insieme per aiutare la popolazione.

Se dovesse aggiungere qualcosa all’appello del Papa circa i bisogni delle persone oggi, cosa si sentirebbe di dire?

R. – In questo momento già le parole e gli appelli del Papa, che spingono alla fine della guerra, mi sembrano di grandissimo aiuto e comunque tutto il processo di solidarietà avviato servirà a tutti. Anche se terminerà il progetto del Papa, la Chiesa infatti continuerà a dare il suo aiuto e a stare vicina alla gente, o con la Caritas o con le nostre parrocchie o con le nostre organizzazioni di volontari. Non ci sono tanti soldi ma saremo presenti e vicini..e poi questa esperienza ci è servita per imparare a collaborare insieme nell’aiutare la gente.

da Vatican News