Tutti ai piedi di Amazon

Si dice che Amazon imponga ai propri dipendenti ritmi di lavoro quasi insopportabili, infischiandosene dei sindacati e collezionando fatturati da capogiro senza doverne rendere conto al fisco italiano.
Eppure dalle nostre parti sembra avere tutti devotamente ai propri piedi: politica, corpi intermedi, gente comune. Un risultato di tutto rispetto per quello che ancora pochi anni fa era solo un libraio on-line.

Ma oggi le vendite di libri rappresentano meno del 10% delle vendite. Amazon vende semplicemente tutto. E certe volte produce anche in proprio, come nel caso dei Kindle, con tutti i servizi on-line annessi e – è proprio il caso di dirlo – “connessi”.

Il volume d’affari da solo, però, non basta a giustificare il potere del colosso americano. Certo, la multinazionale è innovativa, flessibile, lungimirante, visionaria. Dicono sia anche spietata. Ma il segreto della sua forza – almeno dalle nostre parti – sembra risiedere soprattutto nella disponibilità della merce più rara: il lavoro. Squalificato magari, forse ai limiti dello sfruttamento e caratterizzato da ritmi ossessivi, ma pur sempre lavoro. E al lavoro non si può dire di no.

Di lavoro infatti ce n’è sempre meno. E secondo alcuni analisti succede anche perché aziende come Amazon stanno velocemente stritolando la concorrenza. Ne divorano la clientela praticando prezzi molto bassi. Così i negozi tradizionali continuano a chiudere o ad arrancare, mentre l’e-commerce, anche in Italia, cresce con numeri a doppia cifra.

Secondo molti esperti il pericolo è che Amazon si ritrovi in situazioni di monopolio, e una volta acquisito un grande potere sul mercato, cominci a utilizzarlo per fare il bello e il cattivo tempo.
Ad esempio «alzando i prezzi del 25% dalla mattina alla sera – come racconta Federico Rampini nel suo libro “Rete padrona” – senza che i clienti abbiano la possibilità di difendersi andando a fare la spesa altrove. Perché un altrove non esiste più».

Nel frattempo Amazon entra nelle vite dei consumatori. Usando il libro come un cavallo di troia colleziona informazioni preziose sui loro gusti ed interessi, ed ovviamente sulle loro carte di credito. Grazie al “libro digitale” Kindle detiene circa il 65% del mercato dell’e-book. Ma il primo dispositivo serviva solo a leggere libri e giornali digitali. Il Kindle Fire di oggi converte il lettore in cliente globale del meganegozio di Amazon. Col sistema “one-click”, non serve più nemmeno dare il numero di carta di credito per ordinare: è già tutto memorizzato.

Si è infatti avuto l’accesso ad una sorta di ecosistema commerciale, un universo autosufficiente in cui si trova più o meno tutto quello che si potrebbe voler comprare. Ma del quale si diventa pure un po’ prigionieri, anche se solo per pigrizia o comodità. Perché la procedura è talmente semplice e gratificante che anche solo l’idea di tornare a rivolgersi ai negozi “fisici” sembra a dir poco antiquata.

Sono segnali di un cambiamento profondo nelle nostre società. Un’idea delle mutazioni in atto ce la offre ancora Federico Rampini, raccontando il modo in cui Amazon ha condizionato il servizio postale americano.

A New York «il postino bussa anche la domenica» scrive nel suo libro. Sì, nel paese che ha inventato «il consumismo 24 ore su 24, i supermercati aperti di notte e 365 giorni l’anno, festivi inclusi, Amazon ha infranto l’ultimo tabù». La posta federale ha accettato di lavorare anche la domenica in base ad un contratto esclusivo con il colosso del commercio elettronico.  Del resto il servizio postale si è ridotto a lumicino a causa dell’e-mail, mentre il traffico di pacchi ha continuato a crescere. Il passaggio sembra quasi obbligato.

Se queste cose siano un bene o un male lo decide ognuno in cuor suo. L’importante è che il giudizio personale non impedisca di cogliere il segno dei tempi.

Di sicuro sono tempi ricchi di molte opportunità, ma anche di tante criticità. Le prime vanno senz’altro prese al volo, e fanno bene gli industriali, i politici ed i sindacati a darsi da fare. Ma non per questo si può omettere di affrontare i lati oscuri e problematici. Se le “classi dirigenti” discutessero in pubblico anche degli aspetti controversi invece di concentrarsi sempre e solo sulle «magnifiche sorti e progressive», verrebbe forse meno quel sottile odore di propaganda che tante volte impregna l’aria.

Anche perché, per uscire dalla crisi, un bagno di realtà sembra un esercizio tutt’altro che inutile.