Tricarico a Rieti: « la grande rivoluzione parte dall’onestà interiore»

La serata di lunedì 12 ottobre ha visto il cantautore italiano Francesco Tricarico protagonista al Be’er Sheva. L’atmosfera accogliente del locale reatino si è adattata perfettamente alla profonda leggerezza dei suoi brani. L’artista è stato accolto calorosamente da un pubblico molto numeroso e non ha deluso le aspettative, con una performance coinvolgente, accompagnato soltanto dal pianoforte di Michele Fazio, con brevi incursioni del flauto traverso suonato dallo stesso Tricarico.

Fin da subito il cantante ha coinvolto il pubblico dimostrando una notevole attitudine teatrale. Perfettamente padrone della scena, ha alternato i pezzi storici del suo repertorio con aneddoti irriverenti. E l’ironia velata di serietà che lo contraddistingue non ha mancato di provocare il sorriso degli spettatori.

Alla fine dello spettacolo si è concesso di buon grado per fare foto e parlare con i fan ed ha trovato anche il tempo per dialogare un po’ con noi. A partire dalla sua prossima fatica discografica: «L’album che uscirà adesso è un disco acustico, che raccoglie le cose più importanti che sono successe e le canzoni che a me piacciono del repertorio, è un disco che raccoglie un anno e mezzo di live. Poi c’è una traccia particolare con un preludio, un intermezzo e un prologo. È una cosa che mi affascina molto».

L’ultimo singolo, “La mela”, parla del marcio che c’è in Italia e nella politica. È segno di un maggior impegno nel suo prossimo lavoro?

“La mela” non è incluso nel nuovo disco. Ma l’impegno non è una cosa che mi interessa. Vivo in Italia, vivo nel mondo e vedo quello che succede; è un momento drammatico per tante cose di conseguenza le mie canzoni lo raccontano, ma in modo molto intimo e personale.

Una frase del singolo mi ha colpito particolarmente: «Ma a loro non importa/che cosa c’han da ridere?». Secondo lei che cos’hanno da ridere?

Quella è una considerazione abbastanza amara. Io credo che possiamo stare tutti bene viste le capacità tecniche che abbiamo. Credo che ci sia un uso molto egoistico delle cose. Ci sono poche persone che decidano le sorti del mondo. Credo ci sia una grande parte della popolazione che sia usata in modo bestiale, e mi rattrista che si possano usare le persone. Non ho delle certezze, non ho le prove per questo, però ho questa sensazione che ci sia chi ride della povertà altrui. Non lo so se è vero: sono mie sensazioni, è una mia interpretazione.

Crede ancora che «l’uomo impara, che l’uomo migliora», come recita uno dei suoi pezzi?

Sono un po’ disilluso rispetto a certe cose, non tutti vogliono migliorare. Migliorare richiede fatica, richiede un lavoro interiore. Una volta pensavo, forse per ingenuità, che tutti volessero capirsi. Secondo me la grande rivoluzione parte dall’uomo, dall’onestà interiore: dà un modo di comprendere e comprendersi. Nel momento in cui non fai questo lavoro porti fuori un disagio da cui nascono le guerre, le incomprensioni, i divorzi e i litigi. Si dà la colpa agli altri di una propria infelicità. È un discorso molto lungo. Però rispetto al fatto se tutti vogliono migliorare no, non tutti vogliono migliorare. Comunque penso che il mondo sarà guidato al più presto da persone migliori di quelle che abbiamo adesso.

Un po’ di speranza la diamo…

Ho dei figli quindi continuo a sperare che il mondo possa migliorare oppure che se ne trovi un altro dove andare, le soluzioni sono a portata di mano. Io credo che tra breve ci sarà una grande rivoluzione, un grande cambiamento che noi non riusciamo ancora a comprendere. Il passato è passato, l’avvenire è sconosciuto in questo momento di grande incertezza. Chi ha paura si arrocca nelle proprie posizioni, chi invece ha coraggio cerca di portare avanti questo cambiamento. È un momento difficile comunque, come tutti i cambiamenti. Cambiamento secondo me non soltanto interiore ma dell’umanità intera.

Lei è un artista eclettico, con interessi diversi (musica, libri, arti grafiche, ecc). Non rischia un eccessivo dispendio di energie? Oppure le varie passioni si rafforzano a vicenda?

C’è un grande dispendio di energia ma è anche una salvezza per me. Questa è la mia vita, quello che a me piace è fermare le cose. Fermarle in uno scritto, in un disegno. Io ho perso mio padre molto giovane per cui mi sono posto delle domande: Perché ho perso mio padre? che cos’è la morte? Viviamo in una società dove non si parla più di che cos’è la malattia. La morte è stata rimossa. Però queste grandi domande ti portano a cercare di fermare il tempo, di fermare la vita per cercarne un senso. Per me fare uno spettacolo è una cosa importante: cercare di capire che cosa siamo qui a fare. Il disegno è cercare una rappresentazione della vita, la musica è un’altra. Mi auguro di dare una mia spiegazione della vita, e tutto questo mi aiuta, per cui sono fortunato a poterlo fare.

Malgrado la fatica…

Ma non è fatica, è quello che mi piace fare. È come crescere i miei figli. Vedere qualche cosa che rimarrà al di là di me. Lasciare una traccia. Sono molto spaventato dalla possibilità di sparire, per cui tutta questa paura mi fa cercare di lasciare un segno che rimanga al di la di me.

Ancora un ultima domanda. Come le è sembrata Rieti?

L’ho vista poco però guarda qua, anche solo questo spazio è bellissimo.

Noi ci siamo abituati…

Io a Milano no. Ho visto dei ragazzi molto giovani, con grande entusiasmo, portare avanti un luogo dove si fanno delle belle cose. A Rieti ho visto una città antica, bella, che non conoscevo e mi ha sorpreso. Mi è piaciuto vedere tanti ragazzi con voglia di stare insieme e voglia di fare. Sono contento di vedere questa voglia di vivere.

Foto di Ilaria Simeoni,