Trent’anni di questione morale

Trent’anni fa Enrico Berlinguer indicava nella “questione morale” la malattia da cui è affetta la politica in Italia. I fatti di oggi, locali e nazionali, confermano la diagnosi e la mancanza di una cura.

La settimana appena trascorsa ha visto il sindaco di Cittaducale, Giovanni Falcone (PD), messo agli arresti domiciliari con le accuse di concussione e peculato. Al momento non sembriamo trovarci davanti a fenomeni di corruzione di grandi dimensioni come quelli contestati nel così detto “caso Penati”, ma fatte le debite proporzioni, anche su scala locale si fa chiaramente avanti il tema della “questione morale”.

Da quanto è emerso nelle cronache, l’azione amministrativa del primo cittadino di Cittaducale era guidata dalla volontà di procurarsi vantaggi elettorali e personali. Un modo di condurre la Cosa Pubblica che conferma ampiamente la generale convinzione secondo cui chi si dedica alla politica ha l’intento di farsi i fatti suoi. In questo senso, il modo con cui Falcone è raccontato sul sito del Comune di Cittaducale, e cioè come manager che “si presta” alla politica, presta il fianco ad una lettura di ordine davvero basso.

Non a caso, la coalizione dell’incriminato si rifugia in un “garantismo” di rito che lascia trasparire un certo imbarazzo. Il leitmotiv del «passo indietro» e la “commissione di garanzia” del locale Partito Democratico appaiono come la proverbiale foglia di fico. Sono strategie messe in opera per ridurre la faccenda a “un caso”, ad un episodio circoscritto e salvaguardare la natura autoreferenziale dei partiti attraverso le burocrazie interne. Dal loro punto di vista, in fondo, la cosa importante è dare al sistema una parvenza etica, avere una sponda nella legalità. Si tratta di operazioni superficiali fatte sia dai partiti della destra che della sinistra, ciascuno a proprio modo e secondo la misura dettata dalla sensibilità dei propri elettori.

Ma la “questione morale” che allarmava Enrico Berlinguer e che dovrebbe essere cara almeno ai partiti di sinistra era di tutt’altro livello. Per Berlinguer, infatti, «la questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, denunciarli e metterli in galera».

Oggi come allora il problema è nella natura dei partiti. Da strumenti per organizzare le aspirazioni del popolo, si sono fatti «macchine di potere e di clientela» caratterizzati da «scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero». Nella denuncia di Berlinguer i partiti sono troppo occupati nel gestire interessi: «i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune».

La questione morale, dunque, non è un banale problema di criminalità amministrativa. Non basta arrestare i corrotti né dissociarsi da loro ogni volta che vengono scoperti. Perché l’attività politica possa ritrovare una propria dignità è necessario viverla quale “alta forma di carità”.

Ce lo ricorda la dottrina sociale della Chiesa, che fonda sull’amore per l’uomo la cura dello Stato e del vivere civile.

È improbabile che questo cambiamento di rotta si possa compiere lasciando ai partiti il compito di correggersi da soli. L’anno prossimo ne saranno passati venti dall’inizio di tangentopoli, ma in questa direzione è cambiato poco o nulla. Rispetto al fallimento della stagione di “mani pulite”, viene allora in mente la provocazione di don Lorenzo Milani, che in altri contesti si domandava: «a cosa sarà servito avere le mani pulite, se le avremo tenute in tasca?». Il suo impegno lo portò ad adottare come motto «I Care» («mi interessa, mi sta a cuore») in opposizione a quello fascista e qualunquista del «me ne frego!». E lì sta il punto.

L’indignazione che abbiamo attorno pare limitarsi allo stare in finestra a giudicare la politica come un qualcosa di malato, sporco e vecchio. Ma così difficilmente si potranno cambiare le cose. Per ottenere risultati veri occorre immischiarsi, essere attenti, contribuire con i propri mezzi. Quanto siamo immischiati nel malaffare? Ci siamo assuefatti ad un certo andazzo?

È evidente: non è facile rompere consuetudini e interessi, stili e prassi lontani dalla trasparenza. Non è facile rinunciare al favore di qualche potente.

Riportare la convivenza civile all’interno di un orizzonte di maggiore coerenza non è possibile senza pagare certi prezzi. In tanti già lo fanno per convinzione personale e aspirazione alla giustizia.

Il problema è in tutti gli altri. La desiderabilità di un Paese più onesto non sembra essere così scontata. La scommessa è che il ritorno delle virtù civili e della partecipazione cui in parte assistiamo potranno forse curare l’indifferenza, la connivenza e l’opportunismo.