Tre formule di voto. Attori ancora fragili

Allo stato attuale il divario tra la consistenza dei “poli” (che non sono solo due, come in geometria) e la soglia di maggioranza assoluta sembra (ancora) troppo alto

Ha fatto bene Matteo Renzi ad aprire, all’inizio dell’anno, il dossier della legge elettorale. Il segretario del Pd ha fretta, perché sa che il nuovo invecchia rapidamente e che si è imposto come leader decisionista e vincente su un partito diviso e frastornato. Dunque la sua proposta ha una valenza politica, prima che tecnica. Così, prontamente, Grillo si è chiamato fuori, e le altre forze politiche hanno altrettanto prontamente risposto “sì, ma”, senza troppo scoprirsi. Il gioco politico italiano in questa fase infatti più che mai è una specie di accelerazione ferma: tutti si muovono velocemente, ma non cambiano posizione, perché tutto può crollare, ma tutto può durare.

Intanto la Corte costituzionale definirà comunque una legge elettorale in pieno vigore, con cui si andrebbe a votare in caso di crisi politica. Sarà un sistema proporzionale (con il sistema Hare, cioè il più proporzionale possibile, in quanto il riparto dei seggi è calcolato su scala nazionale) con voto di preferenza.

E’ la prima certezza tecnico-politica. Veniamo così alle tre proposte Renzi, che ovviamente non sono dettagliate nei particolari, peraltro fondamentali.

Il primo è uno spagnolo modificato. E’ un sistema che premia i partiti maggiori, attraverso una proporzionale molto selettiva, per via di collegi plurinominali piccoli, senza recupero dei resti. Sarebbe corretto con un premio al partito più votato, senza peraltro la certezza che questo porterebbe alla maggioranza assoluta. Proprio perché un premio troppo alto è incostituzionale.

Il secondo è il cosiddetto sindaco d’Italia, ovvero l’elezione diretta del premier, anche se pudicamente non lo si può dire perché, di fatto, comporta il cambiamento della forma di governo. Ci si arriva attraverso un secondo turno di coalizione, dopo un primo turno verosimilmente con sistema proporzionale.

Il terzo è il vecchio sistema cosiddetto Mattarellum, con il 75% di collegi uninominali, ma modificato in modo da assegnare, oltre un piccolo recupero proporzionale, un premio alla coalizione che ottenesse il maggior numero dei seggi diretti.

E comunque si parla della Camera: il Senato dovrebbe essere abolito come assemblea elettiva, anche se servirà una riforma costituzionale, dunque tempo, come ci vorrà tempo per gli adempimenti tecnici legati alla nuova legge elettorale.

In realtà la tecnica può realizzare le combinazioni più diverse. L’obiettivo, tanto del premio che del ballottaggio tra candidati premier è di fatto lo stesso: creare una maggioranza e rafforzare la capacità di decisione del governo. Come lo stesso è il problema: che allo stato attuale il divario tra la consistenza dei “poli” (che non sono solo due, come in geometria) e la soglia di maggioranza assoluta sembra (ancora) troppo alto. La gracilità degli attori politici è una questione non trascurabile.

Dalla tecnica si ritorna così alla politica. Che in questo caso implica una coerente capacità di investimento e tanto, tanto realismo. Perché bisogna fare in fretta e fare bene, costruendo qualcosa di meno precario degli interessi a breve degli uni o degli altri.