Tra musulmani e cristiani: dialogo del coraggio senza dissimulazione

Lo shock delle Torri Gemelle ha segnato uno “spartiacque”. Occorre ricominciare, nonostante i grandi fallimenti, ma con maggiore fondamento culturale. Senza illusioni e precipitazioni. Ricordate San Francesco che visita il Sultano d’Egitto Malick al Kamil e dialoga pacificamente con lui? Negli stessi anni alcuni giovani francescani pieni di entusiasmo si recano in Marocco e vengono barbaramente uccisi.

Dopo i fatti di Francia e quello che sta succedendo in molti Paesi a maggioranza musulmana, la parola “dialogo” suona come una provocazione e ci si domanda: “Quale dialogo è possibile?”.
A questa domanda se ne aggiunge un’altra ancora più problematica diffusa tra gente comune: che senso ha un dialogo con qualcuno che con le armi addosso è disposto a sparare in nome di Dio se le tue parole fossero percepite come offesa al Profeta e tu fossi punibile per “blasfemia”? Meglio un prudente silenzio, una tregua, limitandosi all’esercizio di relazioni sociali indispensabili.
Ma ciò è impossibile nella società attuale. Non è immaginabile rinchiudersi dentro recinti ben definiti sul tipo di quanto successo nel Cinquecento quando per evitare le guerre di religione si stabili la norma del “Cuius regio eius religio” (Ognuno segua la religione del territorio in cui abita – (Pace di Augusta 1555). Siamo “condannati” al dialogo e al confronto ogni giorno e in ogni dove.
In una società globalizzata dove tutti parlano di tutto e dove è in atto la sfida minacciosa di un Califfato dalle mire espansionistiche che dal Medio Oriente vuol arrivare a porre la sua bandiera sull’obelisco di Piazza S. Pietro in Vaticano si moltiplicano, rimbalzati sui media a livello mondiale, discorsi, dibattiti, per lo più faziosi, parziali e aggressivi. Si è detto tutto e il suo contrario: una grande confusione. Chi ha esaltato senza riserve l’Islam depurato dai terroristi si è scontrato con chi ha diffuso e generalizzato la cultura del disprezzo.
Si deve ritornare alla riflessione seria e serena, all’analisi della situazione e al vero dialogo fatto tra persone responsabili di ciò che affermano, mosse da sincero amore per la verità e desiderose di portare un contributo alla pace nel mondo. Risuona ancora l’ammonizione di un teologo del nostro tempo (Kung) che ha affermato: non ci sarà pace tra i popoli se non c’è pace tra le religioni.
La Chiesa da più di 50 anni (Paolo VI, Enc. Ecclesiam suam 1964 e Conc. Vat II 1962-65) ha fatto del dialogo un programma insostituibile del suo comportamento nel mondo ed ha proposto questo metodo alle religioni e agli Stati di ogni continente. Oggi con papa Francesco è ribadito ed anche esplicitamente indicato il dialogo con l’Islam nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium ai nn. 252 e 253 in termini positivi e incoraggianti, anche se dal testo traspare una certa preoccupazione per “episodi di fondamentalismo violento”, raccomandando la reciprocità nell’accoglienza e nel riconoscimento della libertà religiosa per i cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana.
Alle parole del Magistero ecclesiastico sono seguite molte iniziative ed esperienze, che hanno segnato le comunità cristiane. Spesso, anche ingenuamente e con superficialità si sono attuate iniziative di dialogo e collaborazione con i musulmani con poca o nulla conoscenza della religione e della cultura islamica.
Questo programma è andato avanti tranquillamente con soddisfazione, con utilità pratica ed efficacia ed è stato messo in crisi quando si è avuto uno shock traumatico con l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che ha segnato uno “spartiacque” non superato ed anzi allargato in termini vistosi ed allarmanti.
Ora il dialogo, che è rimasto in alcuni ambiti specializzati e portato avanti dalla Santa Sede in ambito internazionale (cardinale Tauran) è per dare una mano al mondo musulmano perché possa venir fuori dalla deriva del ricorso alla violenza dove alcune forti correnti di pensiero e di azione vogliono condurlo. Per i musulmani pertanto è necessario per sopravvivere come “umma”, cioè come comunità religiosa unita.
Per i cristiani è necessario per non rinnegare la propria storia e la propria identità. Non è solo dialogo di conoscenza dei principi religiosi. Per questo ci si deve informare bene perché pochi hanno letto il Corano e si sentono ripetere in giro delle affermazioni, anche da parte di persone istruite, che non hanno alcun fondamento nel libro sacro dell’Islam. E allora quale dialogo? Il dialogo del coraggio di ricominciare da capo nonostante i grandi fallimenti, certi che la verità si fa strada nel cuore delle persone se viene testimoniata anche dalla coerenza della vita. Senza illusioni e precipitazioni. Ricordate San Francesco che visita il Sultano d’Egitto Malick al Kamil e dialoga pacificamente con lui? Una pagina splendida che illumina la storia e non ci stanchiamo di raccontarla. Ma negli stessi anni alcuni giovani francescani pieni di entusiasmo si recano in Marocco a predicare e vengono barbaramente uccisi.
Giovanni XXIII diceva che le dottrine rimangono fisse nel tempo mentre le persone cambiano. Dialogare vuol dire favorire un mutamento attraverso un cammino insieme per mettere in evidenza le comuni attese e i progetti per un futuro dignitoso per le future generazioni, senza discriminazioni. In questo modo si spera che possano essere circoscritti i tentativi di supremazia dei terroristi, a parole condannati da tutti, ma senza convinzione e senza efficacia.
Papa Francesco sta preparando un’enciclica sull’ecologia. Un campo in cui il dialogo potrà essere proficuo e potrà svilupparsi per la comune necessità ed avere una specie di valore salvifico per la nostra civiltà contemporanea se sarà fatto senza infingimenti, insidie, equivoci e senza la “dissimulazione”, ma nella sincerità e nella verità. Per questo è necessaria la conversione che per certi mondi culturali chiusi, di ambo le parti, avrà il carattere di una rivoluzione.