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Tokyo 2020, i Giochi delle donne azzurre e l’oro che ci manca

Il medagliere italiano arriva a quota 12, ma è solo uno sinora il podio più alto conquistato: tante le imprese, ma anche i rimpianti. E stanotte l'addio meraviglioso di Federica Pellegrini

Donne sul podio, o comunque da record. Come Federica Pellegrini, la prima al mondo a disputare cinque finali olimpiche nella stessa specialità: il diritto se lo è conquistato oggi, andando a cogliere un bellissimo settimo tempo assoluto nei 200 stile libero a Tokyo 2020, la sua gara di sempre. Appuntamento questa notte in Italia (ore 3.40, le 10.40 giapponesi) per l’ultima gara della sua straordinaria carriera. Non vincerà Federica, questo è certo, ma vederla in tv varrà l’alzataccia.

Donne dunque, solo loro, italiane fiere: Maria Cerracchio (judo), la squadra di spada femminile (Navarria, Flamino, Isola, Santuccio), e Giorgia Bordignon (sollevamento pesi). Altre facce di bronzo, quelle che possiamo permetterci. Come le medaglie, due anche ieri, più un argento, a chiudere una giornata che spinge a fare il primo bilancio. Sono 12, sono tutte belle, bellissime, sia chiaro. Perchè l’Olimpiade non regala nulla, e un secondo o terzo posto ai Giochi resta per sempre. Non importa di che colore è: anche la medaglia meno nobile è sempre una meraviglia. Le lacrime sono le stesse, c’è il senso di coronamento di un progetto concluso, della fatica premiata. Chiedere a Thomas Ceccon cosa significa e se la si può definire “povera”, lui che l’ha sfiorata ieri nei 100 dorso, lasciandola sul fondo della piscina per soli 11 centesimi. Oppure a Stefanie Horn, bresciana a dispetto del nome, che dopo 105 secondi di gara, il bronzo l’ha perso per 2 decimi.

Ma lo sport ha leggi precise, i risultati li pesa, e alla fine c’è solo un modo per capire se un’Olimpiade è stata un successo oppure no. Il metro di giudizio è rappresentato dalla somma, ma la qualità conta molto di più. Per questo anche il Kosovo ci sta davanti in classifica con sole due medaglie, ma d’oro, e a livello complessivo siamo slittati al 12° posto della classifica.

Inutile girarci intorno: 1-5-6 è il prefisso che fino a questa mattina l’Italia mette davanti ai suoi conti. E 1 nella casella dell’oro è un numero magro, troppo. Ventotto medaglie in tutto a Rio cinque anni fa, le stesso di Londra 2012, e con 8 ori: la spedizione azzurra ha chiuso per due volte di fila con la stessa cifra, ma a Tokyo c’è arrivata con ambizioni superiori, oltre che con la pattuglia di atleti (364) più numerosa di sempre. L’intenzione del sorpasso l’aveva annunciata alla vigilia senza paura anche il presidente del Coni, Malagò: il conteggio era preciso, quasi scientifico. La salute di un movimento non si valuta sempre e solo in base ai risultati, ma lo sport italiano ha faticato tanto per uscire dai giorni peggiori dell’incubo Covid per pretendere ora soddisfazioni forti. Ecco perché spesso qui gli argenti ci sono sembrate occasioni mancate, e gli ori sfiorati non sono solo rimpianti. In particolari quelle di Garozzo nella scherma, e della Bacosi nel tiro a volo, sono le caselle che andavano riempite per continuare in media giusta l’inseguimento al sorpasso.
I numeri non sono lontani da quelli di Rio calcolati dopo quattro giorni di gare, ma l’Italia tradizionalmente è nella prima metà dell’Olimpiade che fa cassa. Poi vivacchia di rendita, quando le discipline meno nobili finiscono e inizia l’atletica, terra arida per noi. Già da oggi c’è più di una occasione per ribaltare le cifre di quel prefisso stonato. Simona Quadrella in piscina, Filippo Ganna in bici, il canottaggio e ancora la scherma possono evitare che Vito Dell’Aquila sia un uomo d’oro solitario e il taekwondo l’unico vanto che per ora ci possiamo permettere. (A.C.)

Alberto Capriotti per avvenire.it