Terremoto, sei mesi dopo. Monsignor Pompili, “la memoria è il terreno per la ricostruzione”

Il 24 febbraio sono sei mesi dal sisma (24 agosto) che ha devastato il Centro Italia, colpendo numerosi comuni tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria. Altre scosse in successione (26 e 30 ottobre 2016 e 18 gennaio 2017) hanno ulteriormente fiaccato le popolazioni e rallentato le operazioni di soccorso e di ricostruzione che tuttavia non si sono mai fermate. Monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, racconta questi sei mesi partendo dalla memoria delle vittime: “Ricordare è vitale. La memoria non è una nostalgia che blocca ma una presenza che incoraggia, è il terreno per la ricostruzione”

“La memoria delle tante vittime del 24 agosto è la forza per non assistere rassegnati a quello che è accaduto. La sequenza seriale delle decine di migliaia di scosse da agosto a oggi, ha avuto l’effetto di mettere le persone di fronte a un evento che appare invalicabile. Siamo nel bel mezzo dell’emergenza almeno dal punto di vista psicologico”. Il 24 febbraio sono sei mesi dalla prima scossa di terremoto del 24 agosto che devastò molte zone del Centro Italia, mietendo vittime – 299 – in modo particolare ad Amatrice e nella vicina Accumuli e monsignor Domenico Pompili li racconta così, partendo dal ricordo di coloro che non ci sono più. Perché, dice il vescovo,.

“ricordare è vitale: la memoria non è una nostalgia che blocca ma una presenza che incoraggia, è il terreno per la ricostruzione”.

Ricostruzione che tutti, nei comuni terremotati, attendono. “Purtroppo – ammette – l’opacità del momento politico che attraversiamo rischia di proiettarsi sulla drammaticità dello scenario facendo perdere quella lucidità e determinazione che sono necessarie in questa fase”. Un messaggio nemmeno troppo velato alle Istituzioni e al mondo della politica distratto da vicende interne che stanno occupando le prime pagine dei giornali.

Nel guado. “Siamo in un guado”, afferma mons. Pompili, che sin dai primi momenti del sisma, è stato vicino alle comunità colpite insieme ai suoi sacerdoti. Una presenza costante che non è mai venuta meno. Ieri come oggi.

“Ci troviamo, forse, nella fase più difficile. Dopo il momento del dolore unanime questo che stiamo vivendo è il tempo della consapevolezza dei problemi e delle difficoltà dovute non solo all’ampliamento del cratere sismico ma anche al non semplice passaggio dall’annuncio della ricostruzione alla sua pratica realizzazione”.

Davanti alla quale la popolazione risponde con “un alternarsi di sensazioni. Si passa dalla gratitudine di chi è riuscito a salvarsi, alla preoccupazione e alla paura che non sarà facile tornare alla normalità”. L’auspicio del vescovo è che lo sciame sismico si attenui e che “con l’arrivo della primavera e di un clima più benevolo si possano affrontare al meglio gli impegni futuri”. “Sarà importante – afferma convinto – tenere alta l’attenzione perché questo fa da pungolo per chi ha la responsabilità dell’opera di ricostruzione”.

Identità da preservare. Nelle zone colpite i lavori di completamento e installazione dei moduli abitativi provvisori d’emergenza (Mapre) proseguono a ritmo serrato, anche nelle frazioni di Accumoli e Amatrice. Qui sono state consegnate le prime 25 casette.

Rassicurazioni arrivano anche dall’Ue, per bocca del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che il 19 febbraio ha visitato le zone colpite dal sisma. Ai sindaci dei comuni terremotati ha confermato che sono pronti due miliardi di fondi europei. E sono oltre 110.000 i sopralluoghi in tutta l’area colpita dal sisma, secondo il capo del Dipartimento della protezione civile, Fabrizio Curcio, che ribadisce l’impegno delle Istituzioni per rispondere alla “forte richiesta” da parte della popolazione di “restare sul territorio” per preservare la propria identità.

Un obiettivo da realizzare, avverte mons. Pompili, ritessendo quella “ragnatela di luoghi religiosi che erano un punto di convergenza delle tante frazioni di cui questi territori sono costellati. I luoghi di culto non sono solo luoghi della memoria artistica – aggiunge il vescovo di Rieti – ma anche di identità sociale e spirituale. Il sisma ha rafforzato questo senso di appartenenza della popolazione”.

“Anche i siti produttivi rispondono a questo bisogno identitario” rimarca il presule che individua nel lavoro “la condizione necessaria che permetterà alle persone di tornare in questi luoghi che il terremoto ha ulteriormente messo in crisi, visto che già soffrivano a causa della crisi occupazionale e soggetti per questo a spopolamento”. Per invertire la tendenza

“occorre un’operazione energica che non si limiti a dare lavoro in modo occasionale ma che offra opportunità di impiego maggiori rispetto a prima del sisma.

Non basta garantire alcune forme di esenzione fiscale ma è urgente lavorare con decisione per il ripristino delle infrastrutture danneggiate e soprattutto si realizzino adesso quelle che dovevano essere fatte già da prima del terremoto”.

La vera roccia. La Chiesa reatina, insieme a quelle delle altre diocesi colpite, sta facendo la sua parte, grazie al sostegno della Cei. Tutte hanno garantito – e continuano a farlo – attraverso le Caritas, azioni di ascolto, di accompagnamento religioso e di aiuto concreto alle famiglie. “Stiamo ripartendo dalle fondamenta – rimarca il vescovo di Rieti – dall’abc dell’evangelizzazione garantendo alle persone segnate dal dolore una risposta fatta di fiducia e di vicinanza. Il sisma ci ha fatto riflettere sull’urgenza di tornare a riconoscere che dell’altro abbiamo bisogno, che siamo interdipendenti.

Questa tragedia, che scuote la nostra coscienza di credenti, ci esorta ad ascoltare il Vangelo, la vera roccia su cui ricostruire per non lasciare spazio alla disperazione”.