Suora-Mamma: il Vangelo non basta neppure in convento!

Dalla vicenda che ci ha tenuti impegnati in questi giorni abbiamo qualcosa da imparare. Anzitutto la forza dirompente e devastante dei mezzi di comunicazione: la velocità del passaggio delle notizie, l’impossibilità di mantenere il benché minimo riserbo, la necessità di rispondere alle domande e alle provocazioni, pena l’essere sospettati di voler tacere qualcosa di losco. I nuovi mezzi di comunicazione e i network non guardano in faccia a nessuno, né si inchinano di fronte all’abito religioso. E questo, per molti versi, è pure un bene.

Ci insegna anche che le scelte “per sempre” possono anche essere “non per sempre”, che le vocazioni possono finire, che la psiche umana cambia, che le prospettive e le aspettative di vita cambiano. Che si può fare una cavolata di una volta, che ci si potrebbe innamorare infischiandosene della veste, che si potrebbe scoprire un modo diverso di vivere.

Ci insegna pure che la sola preghiera e i soli Rosari non bastano, come non basta la Messa tutti i giorni, come non basta leggere e sforzarsi di mettere in pratica il Vangelo.

Forse non è neppure vera la questione della “tratta delle novizie”, secondo cui gli ordini religiosi, pur di non chiudere i battenti, sarebbero disposti ad accogliere chiunque, anche chi non avrebbe la stoffa, la cosiddetta vocazione, promettendogli una vita comunque meno dura di quella che conduce nella propria terra di origine.

È che nel mondo di oggi, dal punto di vista umano e sociale, le scelte radicali e definitive sono ancora più controcorrente di un tempo, e dunque sempre più dovranno essere riservate a pochi, ben seguiti, ben preparati, ben monitorati nel tempo.

Non si può pensare che una vocazione nata anni addietro sia sempre fresca come agli inizi; che la persona sia sempre motivata allo stesso modo, che abbia sempre chiari i fini che l’hanno spinta ad osare tanto.

Anche qui è necessaria una profonda revisione della preparazione remota, immediata e prossima di chi accede sia agli ordini sacri che alla vita religiosa.

Soprattutto è necessaria una seria e scientifica opera di preparazione all’affettività e alla sessualità, in particolare di chi viene da zone del mondo dove questa preparazione è carente: non si può rinunciare al mondo e ad avere una famiglia se non si sa cosa si lascia e a cosa si rinuncia.

Ma soprattutto la Chiesa deve prendere in seria considerazione la proposta che viene da più parti di rivedere il proprio modo di veicolare il suo insegnamento sulla sessualità, tanto ai laici quanto ai religiosi, seminaristi e preti.

Fino ad ora un modo proibizionistico e fatto di mezze parole innominabili e coperte dalla vergogna ha soltanto peggiorato la situazione, ha rovinato la sessualità delle coppie, ha creato dissapori e malumori nelle persone consacrate e coniugate, fidanzate e conviventi.

La reazione, all’inizio scandalizzata, poi via via sempre più comprensiva dei reatini e dei mezzi di comunicazione, sul caso della nostra religiosa divenuta mamma, la dice lunga su come una eccessiva sacralizzazione pure del ruolo dei preti e dei religiosi, che sono visti come esseri asessuati, angelici e quasi castrati, abbia forgiato una communis opinio distorta e integralista, di mezze risatine e battutine feroci e compiaciute da parte di chi il “sesso” sarebbe abilitato a farlo.

L’aspetto, invece, positivo della faccenda è che l’umano torna tra gli umani e che anche questa storia dimostra che il Vangelo non basta, ci vogliono altre speciali competenze per verificare le persone e accompagnarle nel difficile ginepraio che ci imprigiona alla vita, almeno finché dura.

One thought on “Suora-Mamma: il Vangelo non basta neppure in convento!”

  1. Lorenzo Blasetti

    E proprio vero: la presunzione umana non ha limiti. Cari papi e vescovi che ci avete sollecitato per una “nuova evangelizzazione” e che avete sostenuto che ci troviamo di fronte ad una vera e propria “scristianizzazione”, vi siete affannati inutilmente: “il vangelo non basta” e sarebbe ora che ve lo metteste bene in testa! Chi lo dice? Massimo Casciani, portavoce del Vescovo di Rieti, che, a sostegno della sua straordinaria tesi, non esita a strumentalizzare la vicenda di una suora dando per scontato che, abbracciata la vita religiosa dopo una seria e approfondita formazione, sprovvista però “di una seria e scientifica opera di preparazione all’affettività e alla sessualità”, abbia ceduto al richiamo dei sensi.
    Io non conosco la vicenda umana e cristiana di questa suora. So per certo che conventi e seminari sono pieni di ragazzi e ragazze che cercano un rifugio nell’esperienza religiosa perché per vari motivi vogliono fuggire dalla vita. So anche che in molti casi, l’intervento previo di uno psicologo non sarebbe fuori luogo. Ma so che “preti”, “suore” e “cristiani autentici” li fa il vangelo e chi dice che il “vangelo non basta” rinnega Cristo, la sua missione salvifica e il senso della fede cristiana. Oggi celebriamo la conversione di San Paolo. Non è lui che scrisse “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil b4,13) e “Ed egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9) e ancora “per me vivere è Cristo” (Fil 1,21)?. E se è vera la tesi del sig. Casciani, che ne facciamo della lettera ai Romani dove si dice che il battezzato è “una nuova creatura” e che proprio per questo non è più “carnale” ma “spirituale”?
    Paolo, Gesù Cristo, il “vangelo” (che come sappiamo non è un libro ma è Crsto stesso): no, questa roba non basta. Parola di Massimo Cacsiani, portavoce del vescvo di Rieti.

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