Suicida a 14 anni: esplosione di fragilità

L’omofobia non può spiegare una condizione così diffusa

Ragazzi fragili, educatori smarriti. Sono due considerazioni che vengono alla mente considerando alcuni fatti di cronaca di questa estate.

In particolare ha colpito la vicenda del quattordicenne romano che si è suicidato lanciandosi dal tetto del palazzo in cui abitava. Prima del tragico gesto ha scritto una lettera al padre, nella quale “spiegava” il suo gesto, accennando a problemi esistenziali, a una presunta omosessualità, indicava 12 amici cui i genitori avrebbero dovuto annunciare la sua morte.

La “questione omosessuale” ha preso immediatamente il primo piano. I giornali hanno titolato: “Gay suicida a 14 anni”; oppure: “Sono gay, nessuno mi capisce”. I pensieri – e le indagini, anche per “istigazione al suicidio” – sono andati alla ricerca di discriminazioni e gesti di bullismo tra coetanei, motivati dal presunto orientamento omosessuale del ragazzino. I dibattiti hanno portato in primo piano la questione grave dell’omofobia. Dietro il “polverone”, però, ecco le dichiarazioni disarmanti di genitori sgomenti, secondo i quali il ragazzino non avrebbe manifestato segnali evidenti di disagio, né sarebbe stato vessato da coetanei. Anche gli amici hanno confermato: niente bullismo.

Cos’è successo, allora, nella testa di un quattordicenne come tanti, alle prese coi problemi di ogni ragazzo della sua età, che comprendono anche gli orientamenti sessuali e insieme la necessità di essere riconosciuto dal gruppo, di “riorientarsi” rispetto alla famiglia, di collocare in un mondo sempre più ricco e stimolante – ma anche “liquido”, spesso senza ancoraggi – le mille suggestioni interiori tipiche di un processo di crescita? Questo è il nodo: senza nulla togliere alla questione dell’omofobia, la vicenda del quattordicenne di Roma accende i riflettori una volta di più sulla fatica che fanno i ragazzini a crescere e come spesso siano tragicamente disarmati, fragili, nonostante atteggiamenti di adultità precoce. Ragazzi che si sentono autonomi, che “fanno da sé”, che pensano di essere sempre all’altezza – a questo sono spinti da certa cultura contemporanea – e che invece si ritrovano, all’improvviso, senza risorse. Una lite in casa o tra amici? Una delusione d’amore? Un insuccesso scolastico? La drammaticità di genitori che si dividono, di famiglie che scoppiano? Talvolta – e la cronaca lo richiama – sono i numeri che fanno saltare il banco.

I nostri adolescenti, così fragili. E insieme scambiati troppo spesso da piccoli adulti. Cosa che fa allentare la “presa” educativa, che fa scordare come invece abbiano bisogno di attenzioni, ascolto, sostegno. Fragili, verrebbe da pensare, come lo sono le nostre famiglie, prese dal turbinio della vita quotidiana, dagli affanni che la crisi contemporanea amplifica a mille. Genitori, educatori spesso a loro volta in difficoltà. Smarriti. Eppure bisogna ritrovarsi. Ritrovare ogni volta la strada dell’impegno di “cura” consapevole verso i più piccoli, fatto di gesti quotidiani e di alleanze. Anche per gli adulti, servono sostegni, attenzioni, formazione… Servono comunità che abbiano chiari ruoli e impegni e nelle quali il compito educativo è condiviso. Con la pacatezza di chi ha fiducia nel futuro: aiuta a rendere meno fragili.