Spreco alimentare: fenomeno intollerabile

Le Acli della capitale hanno lanciato il progetto “Il pane A Chi Serve 2.0”, raccogliendo e ridistribuendo circa 1 tonnellata di pane a settimana con il coinvolgimento di 15 panifici, con oltre 60 associazioni di solidarietà che beneficiano di questa raccolta. Per fortuna non è la sola iniziativa italiana sul fronte del recupero di cibo da destinare ai poveri.

Tutti ricordiamo, non senza un vago senso di angoscia, le immagini provenienti dall’Argentina tra il 1999 e il 2002, quando il grande Paese latino-americano cadde in una crisi profondissima: si vedevano distinte persone, alcune anche in giacca e cravatta, rovistare nei cassonetti delle città per cercarvi qualche residuo di cibo ancora commestibile, oppure qualche oggetto riciclabile, perché la povertà era molto diffusa e larghe fasce di popolazione anche della classe media si erano bruscamente ritrovate in miseria. Ebbene, quel ricordo non solo non si è sbiadito nella memoria collettiva, ma – anzi – si è quasi irrobustito. L’Argentina, complice anche l’elezione al soglio pontificio di Papa Francesco, ha in parte recuperato una sua dignità storica e civile, ma la “palla” di Paese povero tra quelli sviluppati è passata alla Grecia, e in misura minore ha coinvolto anche Spagna, Portogallo, Irlanda oltre, purtroppo, anche l’Italia. Ci siamo anche noi tra i Paesi “più sviluppati” a dibatterci tra un debito-monstre, una povertà diffusa (10-11% della popolazione), una disoccupazione che non regredisce dal 13% circa degli ultimi mesi, e un senso di sfiducia che fa pensare a una comunità che ha perso, in molte sue componenti, la voglia di lottare per crescere.

La povertà e la fame nella capitale. Fa quindi un certo effetto scoprire che, nella Giornata dedicata alla prevenzione dello spreco alimentare in Italia (celebrata il 5 febbraio), le Acli di Roma abbiano lanciato un grido di allarme: proprio nella capitale d’Italia il 4% della popolazione (pari a 114.819 cittadini) vive sotto la soglia di povertà, mentre il 7% (200.934 cittadini) mangia in maniera adeguata solo ogni due giorni. Ciò significa, in altre parole, che per metà settimana questo 7% di romani non può permettersi di acquistare cibo sufficiente. Tutto ciò avviene mentre sempre a Roma, calcolano le Acli, ogni giorno vengono sprecate 20 tonnellate di pane, circa il 10% della produzione totale. Alla luce di dati così pesanti le Acli hanno lanciato il progetto “Il pane A Chi Serve 2.0″, raccogliendo e ridistribuendo circa 1 tonnellata di pane a settimana con il coinvolgimento di 15 panifici, con oltre 60 associazioni di solidarietà che beneficiano di questa raccolta. “L’iniziativa – spiega la presidente delle Acli di Roma Lidia Borzì – si propone di recuperare il pane invenduto e contrastare le povertà e dall’altra di sensibilizzare ed educare alla prevenzione allo spreco”. La sigla “2.0” del titolo fa riferimento al sito www.ilpaneachiserve.it che geolocalizza e valorizza la rete di associazioni ed esercenti coinvolti. “Tra gli obiettivi – aggiunge Borzì – abbiamo anche quello di progettare un’applicazione per cellulari e tablet, che permetta di prenotare il pane di resa in tempo reale e facilitare così lo scambio e lanciamo oggi un video che spiega il funzionamento del progetto”.

Il recupero, valore presente alla coscienza collettiva. La Grecia, dentro una crisi che non passa e col suo 35-40% di poveri, è molto vicina all’Italia e ci ammonisce duramente su cosa potrebbe succedere anche da noi se non si avvia un serio rilancio economico, da un lato, e non si recuperano gli enormi sprechi del nostro sistema distributivo dall’altro. Le tante realtà di assistenza e volontariato nelle città e cittadine italiane parlano di un numero crescente di “working poor”, anziani soli, migranti, famiglie numerose, sempre più alle prese con una povertà persistente. Il recupero di risorse alimentari (e anche di altro genere), che altrimenti finirebbero al macero, è così divenuto un tema sempre più presente nella coscienza collettiva, oltre che oggetto di studio a livello universitario. Ad esempio, nella Università di Bologna è nata nel 2003 una iniziativa concreta, di quelle che si definiscono “buone pratiche”. Si tratta di “Last Minute Market” (www.lastminutemarket.it) una società spin-off dell’ateneo, guidata dall’economista Andrea Segré. La società sviluppa progetti territoriali in 11 regioni, connettendo aziende che rendono disponibili le proprie eccedenze e i prodotti scartati, e organizzando la distribuzione agli enti assistenziali che li fanno pervenire alle persone indigenti. Oltre al cibo, donato dai supermercati, si raccolgono anche prodotti ortofrutticoli, pasti pronti della ristorazione collettiva, farmaci prossimi alla scadenza, libri e prodotti editoriali destinati al macero e beni non alimentari vari.

Per una economia più efficiente e più “civile”. Forse più famose di “Last Minute Market” presso l’opinione pubblica nazionale sono le due realtà del “Banco Alimentare” (www.bancoalimentare.it ) e del “Banco Farmaceutico” (www.bancofarmaceutico.org), che negli ultimi decenni hanno svolto una meritoria opera di pionieri in questo campo del recupero lanciando campagne di raccolta in centinaia di super e ipermercati. Accanto a loro non si può non ricordare le tante associazioni caritatevoli e di volontariato (a partire dalle Caritas) che offrono preziosi servizi di accoglienza, mense e ristoro. Si tratta di lodevoli esperienze che agiscono favorendo il recupero e riciclo di prodotti altrimenti destinati al macero. Tutte queste presenze forse necessiterebbero di un maggiore coordinamento oltre che di un più forte sostegno legislativo e finanziario, considerato l’importante ruolo di supplenza sociale che svolgono. Di fatto, oltre che pionieri della carità, stanno indicando la strada per una economia più efficiente (limitando gli sprechi) e più civile (rivolta a chi si trova in difficoltà).