La solitudine del numero uno

Portiere di calcio: fonte inesauribile di ispirazione, dai Futuristi a Guttuso.

“Il portiere caduto alla difesa, ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l’amara luce. Il compagno in ginocchio che l’induce, con parole e con mano, a rilevarsi, scopre pieni di lacrime i suoi occhi. […] Presso la rete inviolata il portiere – l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima, con la persona vi è rimasta sola. La sua gioia si fa una capriola, si fa baci che manda di lontano. Della festa – egli dice – anch’io son parte”. Poche rime recuperate dalla meravigliosa poesia di Umberto Saba ed ecco l’essenza del calcio: il Goal. Tra le strofe piane due emozioni contrapposte ed un unico ruolo, quello del portiere.

Come Saba con la poesia, anche gli artisti vollero celebrare il fenomeno calcistico attraverso le loro opere. Saranno soprattutto i futuristi a trarre da questo sport i maggiori spunti per recuperare e trasferire nelle loro tele il dinamismo simultaneo del movimento dei corpi, professato da Marinetti, Balla e Boccioni. Ricordiamo ad esempio la tela del 1936 di Enrico Prampolini dedicata appunto ai calciatori e dall’elegiaco titolo Angeli della terra (Galleria Arte Centro, Milano).

Tra i soggetti di maggiore rilevanza figura proprio il portiere, nella funzione di simulacro umanizzato della lotta dell’uomo contro la forza di gravità e contro il tempo. Infatti, sempre in chiave futurista, l’aeropittore Gerardo Dottori trasferisce con La Partita di calcio (Galleria Arte Centro, Milano) del 1928, il vertiginoso andamento elicoidale degli aerei nelle linee di forza luminose di un gruppo di footballer, dove l’unico a muoversi secondo un andamento ascensionale, quasi a simboleggiare la capacità di sradicarsi dal furore centripeto dell’azione, è proprio il portiere.

Ma è con la famosa Partita di calcio del 1934 (Galleria Comunale di Arte Moderna di Roma) di Carlo Carrà che il portiere trova la sua proiezione eroica. Qui l’artista concentra tutta l’essenza del gioco in un’unica concitata azione: una mischia in area di rigore. Il pallone, quasi una sfera metafisica, sembra sospeso in aria, mentre tutt’intorno svettano gli attaccanti, come titani in lotta; il portiere col suo slancio, quasi come un novello Icaro, è l’unico che riesce a raggiungere e colpire la palla allontanandola. Forse l’opera era un elogio ad campione, tale Riccardo Zamora, portiere para-tutto spagnolo, che nel Campionato del mondo del 1934 “chiuse la porta” iberica a Meazza e compagni.

Non solo in Italia la cosiddetta solitudine dei numeri primi ha trovato spazio nell’arte: ma grazie ad una recente mostra è stato riscoperto l’artista Alexandr Deineka, esponente della corrente del realismo sovietico. Il pittore, alter ego del nostro Sironi, ritrovava infatti nello sport e nella monumentalità il lessico della sua pittura purista e costruttivista. Il Portiere (Galleria Statale Tret’jakov, Mosca) enorme opera (metri 3,50 x 1,20) del 1934, ritrae l’estremo difensore disteso in un volo plastico per afferrare il pallone. Ma questi non ha lo stile o l’eleganza di un moderno calciatore-modello occidentale, egli è alla stregua di un operaio stakanovista con le maniche scorciate i muscoli stirati dalla fatica e le mani nude e ruvide; anche la variazione cromatica si muove solo su due o tre tonalità che hanno l’opacità della steppa e l’ariosità dello sport.

Dovranno ancora venire i tempi del mitico Lev Yashin, il Ragno nero, unico della sua categoria a vincere il Pallone d’Oro, eppure c’è tanta passione nel quotidiano campestre di una partita ritratta da Deineka.
Abbiamo parlato di portiere, di gesti e di mani… quelle mani che colpiscono la palla, la allontanano, la bloccano. Alla nostra breve rassegna non può certo mancare l’opera forse più significativa e dalle dimensioni più piccole possibili: le dimensioni di un francobollo. Nel ridotto spazio di pochissimi centimetri due mani, quelle di un portiere, riprese nel gesto di alzare al cielo la Coppa del Mondo. Sono le mani di Dino Zoff, capitano degli azzurri che vinsero in Spagna ’82. L’artista che le ha ritratte è Renato Guttuso e l’opera è il francobollo celebrativo di quella strepitosa vittoria che, oltre ai gol di Paolo Rossi, vide proprio nelle parate del numero uno italiano (ricordiamo su tutte quella del Brasile) un contributo fondamentale al successo. Per Guttuso le mani avevano una forza evocativa e una potenza rappresentativa, da sole erano l’essenza dell’opera d’arte, immagine dell’io, dell’esistenza e dell’espressività.

Forse la recente edizione dei Campionati del mondo di calcio non sarà ricordata come il mondiale dei numeri dieci, ma potrebbe essere ricordata come quella dei numeri uno. Ma come direbbe Filippo Tommaso Marinetti: “Oggi pomeriggio dopo un sintetico pranzo di guerra aizzato dalla ‘Partita di Calcio’ di Umberto Boccioni e dalle parole in libertà improvvisate dal radiocronista sulle velocità del pallone nell’incontro Bologna-Milan, sento l’urgenza di trasformare radicalmente l’eloquenza: non più un’ora ma 11 minuti”.