Sofferenza: don Arice (Cei) su “La Porta aperta” (Avvenire), “l’uomo ha bisogno di pane e di senso”

“L’Italia è considerata tra i Paesi più avanzati nell’offerta di salute e di cura. Ringraziamo Dio e tutti gli uomini di scienza che hanno contribuito a questo risultato”

scrive don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute sul mensile “La Porta aperta”, la pubblicazione di “Avvenire” che accompagna il Giubileo, in edicola domani, 11 settembre, insieme al quotidiano. Ciò nonostante, continua don Arice, “non si può ignorare l’accrescersi della solitudine di uomini e donne fragili, vittime di egoismo sociale, che fanno della nostra nazione un ‘ospedale da campo’ abitato da persone che faticano a vivere il quotidiano con speranza”. Corollario di questo quadro “sono le numerose sfide etiche che ci vedranno impegnati soprattutto sul versante del fine vita, perché in questa stagione dell’esistenza il peso economico per curare persone talvolta ritenute ‘inutili’ è altissimo”. In questo panorama, “la Chiesa è da sempre dedita con tanti operatori sanitari e pastorali e numerose strutture sanitarie e di assistenza in molte regioni italiane”. E se qualcuno si domandasse “perché Gesù, e dunque la comunità cristiana, deve prendersi cura delle persone fragili e sofferenti?”, la risposta, per don Arice, è una sola: “perché l’uomo ha bisogno di pane e di senso”. In un’epoca in cui “il corpo umano viene considerato come una macchina dai pezzi sostituibili, valida solo se efficiente”, non esiste nessuno strumento “che potrà mai supplire la necessità della relazione interpersonale, terapeutica essa stessa e necessaria perché l’atto clinico possa diventare occasione per curare tutto l’uomo e non solo la sua dimensione biofisica”.