Siria e Libano: destini incrociati

La crisi del regime di Assad e le conseguenze sulla stabilità del Paese dei Cedri, nelle preoccupazioni dell’arcivescovo libanese Atallah.

Siria e Libano: la distinzione tra questi due Paesi una volta non c’era. È una creazione degli occidentali che negli anni Venti si spartirono, dopo il collasso, l’Impero Ottomano. Accadde che alla fine della prima guerra mondiale, dopo Versailles, la Società delle Nazioni affidò la Grande Siria – bilad al-Sham – che comprendeva le cinque province che ora costituiscono il Libano, al mandato francese. Nel settembre del 1920, la Francia, autonomamente, stabilì lo Stato del Grande Libano, area prima inclusa nei territori di al-Sham. Da quel momento Siria e Libano, due entità omogenee per cultura, tradizioni, risorse e religioni, hanno avuto i loro destini separati ma sempre intrecciati e non deve stupire se, ancora oggi, continuano a interagire, nel bene e nel male. Si è molto parlato dell’ingerenza di Damasco nelle vicende politiche libanesi, fino al 2005, 14mila dei suoi oltre 300mila soldati sono rimasti stanziali in Libano; del suo appoggio alle milizie sciite di Hezbollah; del suo coinvolgimento negli attentati terroristici al premier sunnita Rafik Hariri nel 2005, e nello scorso ottobre al capo dell’intelligence libanese, il sunnita Wissam al-Hassan, ritenuto uomo favorevole all’insurrezione contro Bashar al-Assad e detentore delle prove dell’ingerenza siriana nell’omicidio Hariri. Ora, con la guerra civile in Siria, i destini dei due Paesi tornano ancora una volta a incrociarsi, creando ulteriore instabilità nel paese dei Cedri, dove da mesi trovano riparo decine di migliaia di profughi e rifugiati siriani. Sulle ricadute della crisi siriana in Libano, Daniele Rocchi, per il Sir, ne ha parlato con mons. Simon Atallah, arcivescovo maronita di Baalbek, diocesi che occupa un terzo dell’intero territorio libanese e nella cui giurisdizione cade la valle della Beqaa, dove si trovano migliaia di profughi siriani, giunti in particolar modo dalla città martire di Homs.

In che modo le vicende siriane rischiano di compromettere la già precaria stabilità del Libano?

“In Siria è in corso una rivoluzione per defenestrare Bashar al-Assad. Le sue offerte per una transizione politica sono state rifiutate dall’opposizione. I ribelli, dopo 40 anni di governo da parte della famiglia di Assad, vogliono che il presidente se ne vada. All’inizio l’opposizione è stata pacifica per poi diventare violenta a causa di gruppi e movimenti che hanno imbracciato le armi, tecnologicamente avanzate, fornite loro da nazioni estere. Oggi assistiamo, dall’una e dall’altra parte, a uccisioni feroci e brutali. In Siria si uccide facilmente e per questo la popolazione fugge. Il Libano, che ha una frontiera molto lunga con la Siria, subisce fortemente questa rivoluzione sotto il profilo sociale, economico, turistico e politico”.

L’altra domenica, il patriarca maronita, card. Bechara Boutros Rai, ha richiamato i diversi partiti libanesi a “non puntare gli uni sul regime e gli altri sull’opposizione in Siria”, perché con le loro opzioni divergenti “creano intralci alla vita pubblica del Libano e paralizzano le decisioni nazionali, compresa la ratifica di una nuova legge elettorale…”.

“Anche il fattore politico-religioso comincia a essere predominante: da una parte, agiscono i sunniti libanesi sostenuti dall’Arabia Saudita e dal Qatar, dall’altra, gli sciiti libanesi, nei cui movimenti politici militano anche politici drusi e cristiani, supportati da Iran e Siria. Il Libano, che non è ancora un Paese stabilizzato, oggi è ancora più diviso dagli effetti della crisi siriana”.

L’ingresso nel suo Paese di decine di migliaia di profughi siriani è un’ulteriore fonte di destabilizzazione?

“Diciamo che il Libano è da anni destabilizzato a causa delle pressioni di Paesi stranieri. Sul nostro territorio si sono combattute le guerre di altri. Il Libano soffre, per esempio, il problema palestinese: abbiamo sempre accolto e difeso i palestinesi. In larghissima maggioranza sono sunniti, molti sono armati, portano avanti la loro politica, compiono attentati terroristici che ci danneggiano. In questi ultimi anni si è poi consolidata la presenza di gruppi radicali islamisti vicini ad Al Qaeda”.

Ora è la volta dei rifugiati siriani. Il patriarca Rai ha detto anche che occorre coordinarsi con l’Onu e con gli altri Stati per non sovraccaricare il Libano di un numero di profughi che non sarebbe in grado di sopportare, economicamente e socialmente…

“È nostro desiderio accogliere i profughi e rifugiati della Siria ma non possiamo mantenerne un numero elevato. Non abbiamo statistiche precise, ma parliamo di decine di migliaia. Sunniti e sciiti siriani trovano rifugio nelle aree sunnite e sciite del Libano, i cristiani, che sono pochi, in quelle cristiane. Si stima che per aprile i profughi dalla Siria in Libano saranno 500mila: come faremo a sostenerli? Tra questi ce ne sono anche di armati, come controllarli per sventare infiltrazioni di armi e complotti? L’economia libanese è in crisi. Il Paese è indebitato per circa 60 miliardi di dollari. La produzione di beni è in calo, le esportazioni ferme. Abbiamo bisogno di elettricità che dobbiamo acquistare. Vogliamo accogliere tutta questa gente ma da soli non ce la facciamo. Il governo chiede aiuto alla comunità internazionale ma finora ha ricevuto solo promesse e niente soldi”.

Un seme di speranza è venuto da Benedetto XVI che ha affidato ai giovani libanesi il compito di redigere le meditazioni della Via Crucis al Colosseo. Come avete accolto questa notizia?

“Sono felice che il Papa abbia pensato alla gioventù libanese per questo importante incarico. Nel corso della sua visita, nello scorso anno, il Pontefice ha scoperto il Libano e il suo popolo. Non si aspettava di trovare giovani così vivaci, di alti ideali e culturalmente preparati. Il Libano ha portato la Croce per tutti i Paesi arabi: chi ha difeso la causa palestinese? Chi ha subito le guerre dei Paesi arabi sul suo suolo? La convivenza da noi non è mai stata in discussione. Il pericolo arriva dalle ingerenze esterne. Nella guerra in Libano hanno combattuto persone di tanti Paesi, come sta accadendo adesso in Siria. Vengono da fuori per distruggere tutto, in Libano come in Siria. Preghiamo perché il nostro Paese resti quel ‘messaggio’ di tolleranza, come lo definì Giovanni Paolo II, con riferimento alla sua tradizione di pacifica convivenza”.