Sinodo: la discussione tra vescovi c’è, il consensus ci sarà

Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, partecipa come delegato fraterno al Sinodo: “La Chiesa non può tradire la verità. Non possiamo fuorviare le persone dicendo loro che certi tipi di comportamento che sono sempre stati condannati dalla Chiesa, ora diventano improvvisamente permessi”.

“La Chiesa non può tradire la verità. Non possiamo fuorviare le persone dicendo loro che certi tipi di comportamento che sono sempre stati condannati dalla Chiesa, ora diventano improvvisamente permessi”. Risponde puntuale a ogni domanda, anche a quelle più insidiose come la cura pastorale delle persone omosessuali all’interno delle Chiese e l’accoglienza dei divorziati risposati al sacramento della comunione. Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, partecipa come delegato fraterno al Sinodo sulla famiglia ed è ospite nella Casa Santa Marta dove vive Papa Francesco. Domani 17 ottobre avrà con il Santo Padre un’udienza privata ma sui contenuti dell’incontro preferisce mantenere il più totale riserbo. “Noi dobbiamo chiaramente distinguere – spiega – tra ciò che è permesso e ciò che è peccato. Tuttavia, ci possono essere a livello di cura pastorale situazioni che chiedono di essere considerate. E noi come pastori, mentre rimaniamo fedeli alle regole della Chiesa, dobbiamo prendere in considerazione le diverse situazioni e le singole persone. E le situazioni sono spesso complicate e difficilmente entrano nel quadro rigoroso di una particolare regola”.

È la grande sfida di questo Sinodo. Quale clima ha trovato?

“Il tema della famiglia è una questione seria soprattutto oggi in Europa o in America del Nord dove i politici, il sistema educativo e i mass media stanno promuovendo una nozione di famiglia che non corrisponde alla visione che la tradizione delle nostre Chiese indica e secondo la quale la famiglia è intesa come una unione coniugale tra un uomo e una donna. In diversi Paesi, inoltre, si stanno promuovendo legislazioni che presentano una nozione alternativa della famiglia come per esempio le unioni omosessuali. C’è un dibattitto tra i cristiani di questo tempo su come valutare queste nuove forme di unione che qualcuno equipara alla famiglia. Ci sono, in effetti, comunità protestanti che adottano questo linguaggio rispetto alle unioni omosessuali, ma per le Chiese che si rifanno alla Santa tradizione, e cioè la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa, questa nozione non è accettabile”.

E cosa è emerso al Sinodo a questo riguardo?

“La discussione rispetto a questa questione ha visto alcuni vescovi chiedere una inclusione rispetto alle alternative forme di famiglia. E come si può capire, queste considerazioni hanno provocato un certo dibattito o forse qualche incomprensione. Ovviamente la Chiesa non può cambiare il suo insegnamento dogmatico e teologico. Come pure non può cambiare il suo insegnamento morale e sociale. La Chiesa tuttavia è chiamata a considerare molto seriamente anche gli sviluppi che pone la società moderna. Questa è la ragione per cui non possiamo evitare di parlare di queste unioni. Come non possiamo evitare il fatto che ci siano differenze tra i vescovi che vivono in Paesi e contesti diversi e, pertanto, esprimono visioni differenti. Ma il Sinodo di una Chiesa lavora sempre in uno stesso modo: c’è una discussione, ci possono essere disaccordi, ma poi i vescovi arrivano ad un ‘consensus’ e questo ‘consensus’ non sarà solo frutto di un lavoro umano ma anche opera dello Spirito Santo”.

Lei crede che questo dibattito nella Chiesa cattolica riguardo all’omosessualità possa disturbare il dialogo ecumenico?
“Sono un osservatore. Non sono membro del Sinodo ma delegato fraterno. Le decisioni verranno prese dai vescovi. Comunque sia, credo che la principale preoccupazione dei vescovi in realtà non sia tanto l’insegnamento della Chiesa che non è cambiabile quanto l’applicazione pastorale di questo insegnamento. Come cioè applicare l’insegnamento della Chiesa sulle questioni morali nei casi particolari e nella situazione contemporanea. Nella Chiesa ortodossa noi distinguiamo tra inclinazione omosessuale e comportamento omosessuale. Ci sono persone con inclinazione omosessuale che hanno bisogno di cura pastorale nello stesso modo di tutte le altre persone. Ma ci sono casi di comportamento omosessuale che devono essere trattati come tali dalla Chiesa. C’è, per esempio, un tentativo nelle comunità protestanti di giustificare questo comportamento non ritenendolo peccaminoso come invece è considerato tale dalle Scritture e dalla Tradizione. Per questo noi siamo in profondo disaccordo con il protestantesimo: perché noi crediamo che ogni essere umano ha diritto di cura pastorale e di appartenere alla comunità cristiana ma non tutti i modelli di comportamento possono essere giustificati dalla Chiesa”.

Riguardo invece alla questione dei divorziati risposati?
“È un’altra questione affrontata dai vescovi. Può una persona divorziata e risposata essere ammessa alla comunione? Qui abbiamo differenze tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. La Chiesa cattolica è più restrittiva di quanto non lo sia la Chiesa ortodossa. Abbiamo la stessa norma e affermiamo insieme che il matrimonio si fonda sulla fedeltà reciproca e non può essere dissolto. L’indissolubilità del matrimonio è il principio comune. Ma nella messa in pratica di questo principio, nella Chiesa ortodossa applichiamo il principio di ‘economia’ intesa come ‘accondiscendenza’ che si affianca al principio dell’applicazione stretta delle regole. Per noi ‘economia’ significa che, in alcuni casi, le regole possono essere applicate in modi differenti. Un esempio: se il matrimonio è di fatto dissolto perché i due sposi vivono in famiglie diverse, dobbiamo prendere in considerazione questo stato delle cose e su decisione del vescovo questo tipo di matrimonio può essere proclamato non più esistente con la possibilità di dare il permesso alla parte che non è stata colpevole al dissolvimento del matrimonio, di sposarsi per la seconda volta e, in casi eccezionali, anche per la terza volta”.

E qual è la vostra esperienza rispetto a queste seconde nozze?
“La nostra esperienza mostra che in ogni caso, laddove è possibile, è bene salvare il matrimonio e sempre insistiamo che il divorzio non è un’opzione per gli sposi. Ci possono tuttavia essere casi in cui il divorzio non solo è permesso ma anche necessario. Quando, per esempio, un marito è alcolizzato e laddove ci sono violenze sulla donna o sui bambini e la loro vita è in pericolo. Sfortunatamente ci troviamo di fronte a queste situazioni. Ed è meglio in questi casi procedere con il divorzio e permettere alla parte non colpevole di ricevere il permesso di sposarsi ancora”.