Sigalini: dalla Cena il segno di una vita donata

Le fragilità della Chiesa? Hanno un fondamento che non c’è male: la potenza di Gesù, che la sua fragilità ha trasformato nella cosa più preziosa lasciata ai suoi discepoli: l’eucaristia.

Il “preludio” spirituale agli eventi del Congresso eucaristico vede l’auditorium di S. Scolastica pieno di gente “catturata” dalla semplice quanto densa e appassionante meditazione di monsignor Sigalini (il testo e la videoripresa è disponibile sul sito www.frontierariteti.com). La sala ricavata nella chiesa di via Terenzio Varrone si riempie di sacerdoti, suore e svariati laici venuti a partecipare all’incontro animato dal vescovo di Palestrina, che il confratello monsignor Lucarelli presenta all’uditorio che in gran parte lo conosce già, dato che non è la prima volta che viene a Rieti. Invitato a parlare del sacramento dell’altare come “forza per la Chiesa fragile”, don Domenico invita a ripartire proprio dal momento in cui l’eucaristia viene istituita. Quella sera, dice, Gesù quasi se lo sentiva che la morte era vicina. «Questo non lo spaventava, ma lo metteva di fronte alla sua missione, alla conclusione della sua vita, allo scopo del suo essere tra gli uomini. Ha cercato allora uno spazio umanissimo, immediato, definitivo per dimostrarsi», curando in tutti i particolari quell’ultima cena. Perché non voleva che la sua vita la prendessero i potenti di allora, ma che fosse proprio lui a donarla. Il presagio della sua morte violenta lo trasforma in volontà di dono, dono per amore. Come volesse, Cristo Signore, dirci: “vi do la mia vita, perché vi voglio troppo bene. Non posso permettere più che il male sia l’ultima parola… Questo pane spezzato e questo vino versato saranno sempre il segno di un dono senza rimpianti… saranno il segno del mio corpo dilaniato e del mio sangue versato per amore, solo per amore…”.

Un lascito per la Chiesa, che dall’eucaristia impara il senso della vera vita umana secondo lo stile di Cristo: «Prendere, benedire, spezzare… sono i segni di una vita donata; di una vita che non si avvolge su se stessa, che non idolatra il proprio io… ma ne fa dono». E allora, le comunità, quando si ritrovano a celebrare la Messa, «sono entro questo disegno di Dio». Con tutte le fragilità che la Chiesa continua a portarsi dietro, somigliando molto, «alla comunità disperata degli apostoli: molti in fuga, alcuni traditori, molti indifferenti e supponenti, tantissimi adattati al basso». L’eucaristia contiene però la speranza di quel capovolgimento di prospettiva che Gesù riesce a compiere morendo in croce. Leggendo nel Vangelo lo stupore del centurione sul Golgota dinanzi a quel povero innocente crocifisso, «il lettore comprende che in questo uomo condannato, in questo uomo solo e abbandonato, in queste tenebre abita Dio… », e l’abbandono diventa dono d’amore. «Tutto questo dicono le parole di Gesù sul pane e sul calice: nel pane spezzato, nel sangue versato Dio dice definitivamente il suo “amen”, il suo sì alla creazione e all’uomo, alle nostre comunità divise e segnate dal peccato».

L’eucaristia è annuncio che nessuna notte, nessuna disperazione potrà mai vincere. «La Pasqua è annuncio di resurrezione perché dice che Dio ha salvato l’uomo non in virtù della sua potenza, ma in virtù della sua impotenza e che la salvezza passa paradossalmente per le strade della debolezza di un amore crocifisso. L’etica dominante è dalla parte del potere e non della croce; il Vangelo, invece, pone al centro della vita l’amore crocifisso, che salva l’uomo non in virtù della sua potenza, ma della sua impotenza». Costringe, l’eucaristia a mettersi davanti a un bivio, a scegliere tra il potere e l’amore. E ciò significa «che la vera vittoria cristiana è nell’oblazione e non nella potenza dei mezzi, ma sullo scandalo della croce… Per il Vangelo, la risurrezione passa per il granello di grano che muore per dare la vita, per le strade dell’amore e non per quelle della ragionevolezza». L’eucaristia insegna relazioni nuove, dà forza per vivere ogni giorno la comunione. «Si possono costruire comunità di persone che fanno dell’Eucaristia la loro costante ispirazione, nel lavoro educativo, nel mondo delle relazioni di solidarietà, nella vita religiosa… Si può educare a divenire persone eucaristiche che sanno fare della vita un ringraziamento sostanziale e che vivono nel dono e nella gratuità». Insomma, la nostra fragilità è ciò che permette a Dio di dimostrare quanto ci ama: perché i cristiani, conclude Sigalini, «quando diventano padroni (leggeteci sotto tutte i poteri di denaro, di istituzioni, di favori…) sono dei pessimi padron». Quando invece «sono sotto torchio e fragili diventano onnipotenti proprio per quel pane spezzato e vino versato».

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