Storie

Shadamgul: dall’Afghanistan a piedi tra le montagne ghiacciate

La storia di Shadamgul. Fuggito a piedi dall'Afghanistan ha camminato attraverso le montagne del Pakistan, dell'Iran e della Turchia guidato da un gruppo di trafficanti

“Mi chiamo Shadamgul Zadran. Vengo dall’Afghanistan, il mio villaggio si trova nella provincia di Paktyia, al confine con il Pakistan. Sono arrivato in Italia nel 2008, avevo 23 anni. Vengo da una famiglia numerosa, sono l’ottavo di undici figli, sette maschi e quattro femmine. Mio padre faceva il commerciante, vendeva stoffe e oro e viaggiava molto per lavoro. In Quando stavo in Afghanistan studiavo le lingue a scuola: parlo la lingua del Pakistan, quella indiana e persiana e anche un po’ di inglese. La mia famiglia era molto unita.”

Afghanistan, la guerra infinita

Shadamgul, viene al mondo negli ultimi anni dell’occupazione sovietica. Il nuovo segretario generale del PCUS si chiama Mikhail Gorbaciev e nel 1986 avvia il processo di disimpegno dell’URSS da una guerra disastrosa durata 10 anni e costata la vita a oltre 26mila soldati e civili sovietici. Da parte afghana il bilancio delle vittime oscilla tra i 650mila e i 2 milioni di morti, perché i combattimenti nel paese sono proseguiti anche dopo il ritiro russo completato nel 1989. Un dato per tutti, negli Anni 80 gli afghani da soli costituivano la metà dei rifugiati in tutto il mondo. Senza soluzione di continuità la guerra contro i russi si è trasformata in guerra civile e nel 1992 i mujaheddin hanno preso il potere e fondato lo Stato islamico d’Afghanistan. Un avvenimento che, lungi dal portare stabilità, ha determinato uno scontro feroce tra i ‘signori della guerra’. Il regime dei talebani è crollato infine nel 2001in seguito all’intervento militare USA, ma si è trattato solo di una nuova tappa nella guerra infinita dell’Afghanistan.

L’Europa, un sogno quasi impossibile

“Tutta la mia infanzia è stata segnata dalla paura della guerra. Non si poteva giocare tranquillamente all’aperto e non ci si sentiva sicuri nemmeno in casa. La paura era sempre dentro di noi. Gruppi di miliziani armati battevano i villaggi per reclutare a forza i giovani, strappandoli alle loro famiglie. Quando ho compiuto 23 anni ho preso la decisione di lasciare il mio paese, se fossi rimasto la mia vita sarebbe stata in pericolo. Avevo sentito parlare dell’Europa, avevo letto dei libri. Lì sarebbe stato possibile costruire una vita in pace.
I miei genitori non volevano che io facessi questo viaggio, pensavano fosse troppo rischioso, ma dopo due mesi di insistenze mi hanno dato il permesso di partire. Era la prima volta che mi allontanavo dalla mia famiglia e quando è venuto il momento di salutare mia madre ho pianto.”

Prima tappa: il Pakistan

“Sono partito in compagnia di 5 amici dopo aver pagato13.000 euro a testa al capo di una rete di trafficanti che ci garantiva di portarci fino in Europa. Se solo avessimo immaginato quello che ci aspettava, non l’avremmo mai fatto. Ci avevano detto che entro un mese saremmo arrivati a destinazione, ma c’è voluto quasi un anno. Ci hanno ingannato fin dall’inizio, ma non ce ne siamo resi conto subito. Anche perché la prima parte del viaggio è stata relativamente semplice. Tra l’Afghanistan e il Pakistan il confine è molto lungo ed è attraversato da tante strade che si possono percorrere anche senza documenti.”

Il Pashtunistan

Il confine tra Afghanistan e Pakistan misura quasi 2800 chilometri e si dipana lungo l’antico tracciato disegnato a tavolino da Sir Mortimer Durand alla fine dell’800. Il suo tracciato divide da nord a sud una vasta area etnicamente e culturalmente omogenea: è il Pashtunistan. Per Shadamgul, che non è mai uscito dal perimetro della propria città, per raggiungere il Pakistan la via più breve passa per i tortuosi sentieri della catena montuosa dello Spin Ghar, le ‘Montagne Bianche’, una muraglia naturale da 4300 metri d’altezza. Arrivare al confine con l’Iran non è un grosso problema sono vie che afghani e pakistani percorrono da sempre. Il 2007 però è stato l’anno più sanguinoso dall’invasione americana dell’Afghanistan e per i trafficanti è un periodo d’oro: alle armi e alla droga si aggiunge il traffico di esseri umani.

Le prime violenze dei trafficanti

“Lungo il cammino che ci doveva portare in Iran si sono aggiunte al nostro gruppo sempre più persone, alla fine saremmo stati circa trecento. Il business gestito dai trafficanti è immenso: c’erano indiani, srilankesi, persone dal Bangladesh, afghani e persone provenienti da diversi paesi arabi. Viaggiavamo solo di notte, di nascosto, come dei ladri. I trafficanti che ci accompagnavano ci dicevano quando muoverci e dove andare per nasconderci. Le donne e i bambini viaggiavano insieme a tutti gli altri, ma la notte ci separavano. Con loro i trafficanti facevano tutto quello che volevano. Le violentavano, certo; ma non me la sento di raccontare quello che ho visto.”

La via per l’Iran

Secondo le Nazioni Unite nel 2007 si trovavano in Iran almeno 2milioni e mezzo di profughi afghani. Gli oltre 700 chilometri di confine tra i due paesi tagliano in due la regione del Beluchistan, divenuto dopo l’invasione USA dell’Afghanistan, il principale crocevia del narcotraffico e di ogni genere di contrabbando, compreso il traffico di esseri umani. Per arginare i movimenti transfrontalieri in quell’anno Teheran dà il via alla costruzione di un’imponente muraglia alta 3 metri e spessa 90 centimetri, irrobustita da filo spinato e costeggiata da ampi fossati. Un’opera da centinaia di milioni di dollari. Ma la rete dei trafficanti è estesa e ben organizzata anche se il pagamento del viaggio è sempre anticipato, perché ad essere garantita è solo la partenza.

Il gelo delle montagne iraniane

“Per entrare in Iran abbiamo dovuto scavalcare un muro altissimo che blocca il confine. I trafficanti avevano nascosto una scala sulla quale ci siamo dovuti arrampicare, eravamo tantissimi. E’ stato un momento molto difficile e pericoloso. Spesso le guardie di confine sparano contro chi cerca di scavalcare il muro. Appena siamo passati dall’altra parte abbiamo fatto una corsa di circa 3 ore fino a un bosco dove c’era una stalla con le pecore. I trafficanti ci hanno fatto stare lì 5 giorni.
Una notte ci hanno detto di metterci in marcia, abbiamo iniziato a camminare nelle montagne. Lungo tutto il nostro cammino abbiamo visto i corpi di quelli che prima di noi non ce l’avevano fatta. Li calpestavamo sotto la neve. I corpi erano spesso dilaniati, caduti da queste montagne altissime. Dopo 8 notti siamo arrivati nei pressi di Teheran. Eravamo quasi la metà del gruppo, non so che fine abbiano fatto tutti gli altri. Chi resta indietro in questo viaggio viene abbandonato. Non puoi avere ripensamenti, non puoi chiedere ‘perché’ o dire ‘non voglio’. Non ne hai il coraggio perché i trafficanti sono armati e ti picchiano.
A Teheran mi sono ritrovato in una casa di due stanze con più di 50 persone. Dormivamo su un fianco perché non c’era spazio sufficiente per girarsi. Non potevamo uscire mai, il cibo che ci davano erano un po’ di patate e acqua dentro un’unica pentola per tutti. Siamo stati così per due mesi.”

In marcia nella neve verso la Turchia

“Quando è arrivato il momento di ripartire i trafficanti avevano procurato alcune automobili per portarci verso le montagne. In ogni macchina facevano entrare 15/16 persone: eravamo schiacciati dentro, anche nel portabagagli. Chi esitava ad entrare veniva picchiato. Dopo circa due ore di viaggio in queste condizioni ci hanno fatto scendere, ma nessuno di noi era in grado di camminare, avevamo le gambe addormentate.
Abbiamo camminato per quattro notti nella neve. Di giorno, invece, rimanevamo fermi e nascosti. Faceva freddissimo, cercavamo di scaldarci abbracciandoci gli uni con gli altri, non avevamo scarpe adatte alla neve, né giacche per coprirci. Rimanevamo sempre svegli.
Di quel freddo porto il ricordo addosso. Le dita del piede sinistro si sono congelate, mi fa malissimo quando le unghie cercano di ricrescere e quando le devo tagliare.”

I migranti in Iran e la rotta verso la Turchia

Se in molti scelgono di emigrare clandestinamente in Iran per cercare lavoro, tanti altri sono disposti ad attraversare il paese fino all’estrema propaggine settentrionale. Obiettivo: superare gli impervi Monti Zagros ed entrare in Turchia, ultimo baluardo prima dell’ingresso in Europa. Nel 2008 sono centinaia di migliaia a tentare la sorte, una stima fatta sulla base dei 66mila irregolari fermati dalla polizia turca. Chi sopravvive alla neve e al gelo, raggiunge la città turca di Van.

Dopo le montagne, il mare

“Quando siamo arrivati a Van, in Turchia, ci hanno tenuti nascosti in una casa per una settimana circa. I trafficanti ci hanno procurato i biglietti per arrivare fino ad Istanbul in autobus. Un viaggio di oltre 24 ore. Il trafficante che ci accompagnava faceva finta di non conoscerci, ma controllava tutto, e noi ci siamo mischiati agli altri passeggeri.
A un certo punto bisognava superare un posto di controllo della polizia, ci hanno fatti scendere e ci hanno messi nel bagagliaio del pullman. Siamo passati così. I trafficanti avevano corrotto tutti: l’autista, i poliziotti.
Abbiamo passato due mesi nascosti in una casa a Istanbul prima di essere portati su una spiaggia per attraversare il mare e arrivare finalmente in Grecia.
Ci hanno fatto salire su un piccolo gommone, eravamo una trentina di persone. In piena notte siamo partiti, ma arrivati in mezzo al mare il motore si è rotto e il gommone ha iniziato a imbarcare acqua per il troppo peso. La gente ha iniziato a urlare, a pregare, eravamo disperati. Per fortuna siamo stati avvistati da una motovedetta greca che ci ha soccorsi. Sono ancora grato a quei poliziotti che ci hanno salvato la vita.”

Passaggio in Grecia

Nel solo Mar Egeo – secondo i dato dell’Osservatorio Fortress Europe – sono affogati tra il 2006 e il 2008 oltre 500 migranti. Nel 2008 si registra il numero più basso di vittime, cui fa da contraltare la crescita vertiginosa dei migranti intercettati dalla Guardia costiera greca: 15.315. I migranti intercettati, o quelli che sbarcano spontaneamente, vengono arrestati, identificati e poi rilasciati con un foglio di via che vale un mese. Nel documento, redatto in greco e quindi incomprensibile per i migranti, c’è anche scritto che è vietato recarsi nelle zone di Patrasso e Igoumenitsa. Perché proprio da lì prosegue il viaggio verso l’Italia. A Patrasso, presso il porto, la comunità afghana è talmente numerosa da essere conosciuta come la “piccola Kabul”: i migranti arrivano e sostano alcuni mesi in attesa di potersi imbarcare clandestinamente per l’Italia.
Difficile pensare di rimanere in Grecia: delle 20mila domande d’asilo presentate nel 2008 , Atene ne ha accolte solo 379.

L’Europa, un paradiso senza guerre

“In un centro di accoglienza sull’isola di Mitilene ci è stato consegnato un foglio dove c’era scritto che entro un mese dovevamo lasciare la Grecia. Io e i miei amici quelli con cui ero partito dall’Afghanistan, siamo arrivati a Atene dove grazie all’aiuto di un ragazzo afghano siamo rimasti per quattro mesi. In quel periodo i miei genitori sono riusciti a mandarmi altri soldi, perché non avevo più niente. I trafficanti cui avevo pagato il viaggio per arrivare in Europa avevano concluso il loro lavoro. Ora dovevo cavarmela da solo.
Con 2.800 euro ho comprato un passaporto falso e un biglietto per la Spagna. Non c’era nessuna garanzia che sarei riuscito a superare i controlli in aeroporto, ma ho preferito rischiare che rimanere bloccato a Atene. Avevo paura, ma sono stato fortunato.
Anche in Spagna non conoscevo nessuno, mi ha dato una mano un ragazzo pakistano che gestiva un Internet Point. Un suo amico che stava a Valencia avrebbe potuto ospitarmi. Ho fatto il biglietto per andare a Valencia con il pullman. Era tutto bellissimo! Quando sono arrivato in Grecia era la prima volta che non vedevo un paese distrutto dalla guerra. In Spagna, invece, per la prima volta in vita mia mi sono ritrovato a viaggiare seduto di fianco a una ragazza. Mi ricordo che mi vergognavo tantissimo! Ho viaggiato tutto il tempo rannicchiato contro il finestrino.
Dopo Valencia, ho abitato anche a Barcellona e di lì, sempre con il mio passaporto falso, sono partito per Milano. Quando sono arrivato in Italia era il 18 dicembre 2008”

Flussi migratori in Italia

Le cronache dell’epoca raccontano che il 2008 è stato un anno record per gli ingressi di migranti in Italia. Per il Viminale, guidato da Roberto Maroni: gli irregolari sono 650 mila. Il 63% è arrivato via terra o in aereo. Secondo l’UNHCR, le domande di asilo presentate in Italia nel 2008 sono state 30.324, con un tasso di riconoscimenti intorno al 49%. Gli afghani risultavano tra i gruppi di richiedenti asilo più numerosi con 2.500 domande. Il numero complessivo dei rifugiati riconosciuti residenti in Italia, a giugno 2009, era di circa 47.000 persone. I rifugiati accolti in Germania erano nello stesso periodo circa 580.000.

Il lungo percorso per l’integrazione

“Nel 2009 sono riuscito a entrare in un centro d’accoglienza a Crotone, dove ho presentato la mia richiesta d’asilo. Ci sono voluti quasi undici mesi per ottenere lo status di rifugiato. Ma anche dopo non è che la situazione fosse tanto diversa: non conoscevo la lingua, non trovavo lavoro. Poi a Roma, dopo aver dormito alla stazione Ostiense per tre mesi, ho conosciuto il Centro Astalli dove mi hanno aiutato a completare i miei documenti e a fare un corso d’italiano. Da lì la mia vita ha iniziato a cambiare.
Adesso lavoro in tribunale come mediatore e interprete, mi sono sposato con una ragazza italiana e aspettiamo un figlio. Mi piacerebbe un giorno aprire un ristorante afghano, perché il cibo afghano è molto buono. Vorrei dare agli italiani un’immagine diversa del mio paese, che non sia quella di una guerra continua.”

da Vatican News