Le sfide gigantesche di Paolo VI

Le evidenzia il vaticanista Andrea Tornielli nel suo libro dedicato a Montini.

La recente beatificazione di Paolo VI ha riportato all’attenzione mediatica la figura di un pontefice dal singolare destino: qualcuno ha visto la sua azione pontificale divisa in due parti, una progressista, agli inizi, e conservatrice in seguito, altri lo hanno giudicato conservatore tout-court, altri ancora hanno visto in lui un progressista costretto dai tempi a non esporre la Chiesa ad una frattura irrimediabile. Certo, il carisma mediatico del Papa che lo ha preceduto, Giovanni XXIII, e quello di Giovanni Paolo II ha creato una sorta di distorsione prospettica, come se si dovesse per forza giudicare un leader non per quello che veramente è stato, ma per quanto si è avvicinato, o distanziato, a seconda dei punti di vista, da “modelli” diversi. Dimenticando che ogni persona andrebbe valutata per le sue peculiari capacità, per la sua azione specifica e non per la somiglianza o la distanza da un altro.

Un recente libro del vaticanista Andrea Tornielli, “Paolo VI. La difesa della fede del papa beatificato da Bergoglio” (Piemme, 204 pagine, con una appendice di encicliche e scritti pontifici) fa giustizia di tanti luoghi comuni e contribuisce a storicizzare, dandogli la giusta luce, un pontificato che contrariamente a quanto molti pensano, ha avuto una sua precisa fisionomia. Prendiamo ad esempio la capacità di mediazione, che per molti è stato un punto debole. In realtà, durante il Concilio, papa Montini è stato assai presente e molto è intervenuto a salvaguardia di punti strategici per la definizione della fede romana apostolica. Come afferma Tornielli, “in realtà Paolo VI desiderava invece, proprio per l’estrema delicatezza dell’argomento, studiare personalmente i pareri degli esperti per poi decidere”, rivelando una personalità forte e coraggiosa, ma pur sempre di studioso, seppure attento alla realtà contemporanea, e non di leader carismatico che “buca” i media. Una delle conclusioni che si possono trarre da questo libro è che vi sono molti modi di manifestare una leadership, non solo quella mediatica e basata sulla capacità di presa sull’opinione pubblica, ma anche quella, meno esposta, di controllo e salvaguardia delle linee essenziali della Chiesa rispetto alle azioni centrifughe che in quegli anni si manifestavano drammaticamente.

Come scrisse giustamente l’allora cardinale Joseph Ratzinger, alludendo alla “Humanae vitae”, “intenzione dell’enciclica non è quella di imporre pesi; il papa si sente piuttosto impegnato a difendere la dignità e la libertà dell’uomo contro una visione deterministica e materialistica”.

La verità è che la storia mise di fronte a Paolo VI una serie di sfide gigantesche che proprio a metà degli anni Sessanta si andavano delineando: la storicità dei Vangeli, l’infallibilità del Papa, la sostituzione del latino nella celebrazione eucaristica, la contraccezione, la libertà religiosa e la possibilità o meno di esprimere posizioni eterodosse dall’interno della comunità ecclesiale, il simbolismo nell’Eucarestia, la professione di fede, la politicizzazione dell’azione dei cristiani in Paesi in cui drammatici erano i problemi legati alla povertà e allo sfruttamento. Con questi e altri interrogativi dovette fare i conti, spesso in una posizione di solitudine e sostanziale incomprensione da parte di molti media, Paolo VI. Ma anche qui Tornielli rivela il lato forte e deciso del papa, riportando le parole di Montini presenti nella sua prima enciclica, “Ecclesiam suam”, dell’agosto 1964: “Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede”, il che la dice lunga sulla capacità di stabilire punti fermi, talvolta drammatici e laceranti, nella sua ricerca di dialogo con gli uomini di buona volontà, e anche con coloro che tentavano l’eversione violenta del sistema politico: molti ricorderanno il drammatico e coraggioso (nel ribadire l’amore cristiano verso quei terroristi) appello agli “uomini delle Brigate Rosse” durante i drammatici giorni del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro.