Chiesa di Rieti

Settimana Santa, il vescovo Domenico: «Sfidati dalla morte, ma ricondotti al cuore della fede»

I cambiamenti introdotti nella Settimana Santa per l’emergenza da Coronavirus e le parole del Papa per vivere utilizzando bene questo tempo, al centro dell’intervista di Vatican News con monsignor Pompili

Questa sarà certamente una Settimana Santa che rimarrà scritta nelle pagine dei libri di storia. Diversa, senz’altro, per le modalità, e per il dolore e la paura che hanno messo in ginocchio tanti Paesi del mondo, a causa della pandemia da Covid-19. Il Papa stesso, come è stato annunciato nei giorni scorsi, celebrerà i Riti della Settimana Santa all’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro, senza concorso di popolo, a partire dalla domenica delle Palme. Anche la Via Crucis non si terrà nello scenario classico del Colosseo ma sul Sagrato della Basilica vaticana.

Indicazioni generali su come vivere questa Settimana, sono state poi date dalla Congregazione per il Culto Divino con un decreto. Poiché la data della Pasqua non può essere trasferita, si afferma che nei Paesi “colpiti dalla malattia, dove sono previste restrizioni circa gli assembramenti e i movimenti delle persone, i Vescovi e i Presbiteri celebrino i riti della Settimana Santa senza concorso di popolo e in luogo adatto, evitando la concelebrazione e omettendo lo scambio della pace”. Tra le altre disposizioni, anche che la Lavanda dei piedi, già facoltativa, sarà omessa. Si raccomanda anche di avvisare i fedeli dell’ora d’inizio delle celebrazioni in modo che possano unirsi in preghiera nelle proprie abitazioni e anche di offrire sussidi per aiutare la preghiera familiare e personale. Un aspetto molto importante quello della “vicinanza” – seppur non fisica –  ai fedeli, come sottolinea monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, una zona già ferita in particolare dal terremoto del 2016, e presidente della Commissione per le comunicazioni sociali della Cei.

R. – Credo che questa Pasqua sarà indimenticabile soprattutto perché probabilmente siamo chiamati a viverla attraverso la dinamica domestica della preghiera e questo, se non altro, è anche un modo per tornare alla Pasqua delle origini, giacché come Israele in esilio viveva la Pasqua a livello familiare, così è chiesto di viverla quest’anno, a motivo del Covid-19, stando a casa. Nessuno ovviamente può dimenticare che si tratta di una situazione eccezionale e contingente però direi che dentro questa condizione, c’è anche una sfida che è quella che in qualche modo sollecita la partecipazione del popolo di Dio, andando appunto nella direzione di quella actuosa partecipatio, la partecipazione attiva (alla liturgia).

Durante la preghiera universale del Venerdì Santo sarà cura dei vescovi – dice il decreto della Congregazione per il Culto Divino – “predisporre una speciale intenzione per chi si trova in situazione di smarrimento, i malati, i defunti”. Questo inserire nella preghiera universale questa intenzione, indica lo sguardo della Chiesa che non dimentica nessuno e si incarna nelle circostanze attuali?

R. – Sì, questa preghiera universale che ha come sua caratteristica, nella liturgia del Venerdì Santo, quella di essere appunto universale perché guarda a tutte le situazioni, in particolare quest’anno ha questa tonalità legata a questa vicenda della pandemia che ha isolato mezzo mondo. Direi che questa preghiera rimarca la situazione nella quale ci siamo trovati improvvisamente tutti catapultati. Ci siamo resi conto che siamo molto più precari, più fragili, di quello che immaginavamo. Visto che pregare ha che fare con la nostra condizione precaria dal punto di vista etimologico, è una maniera per ritornare alla nostra condizione umana, che non può mai pensarsi autosufficiente ma deve sempre in qualche modo essere avvertita di questa connaturale fragilità di cui la preghiera si fa espressione.

“Anche se siamo isolati, il pensiero e lo spirito possono andare lontano con la creatività dell’amore”, ha ricordato il Papa nel videomessaggio per la Settimana Santa e, più volte in questo tempo, ha chiesto preghiera e gesti di tenerezza, anche con una telefonata agli anziani o a chi è solo. Ecco, anche questo tempo che sembra divorare le nostre abitudini, può invece trasformarsi da kronos a kairos, tempo propizio?

R. – Penso che questo tempo che mai avremmo immaginato, possa trasformarsi facendo di necessità, virtù. Mi riferisco soprattutto al fatto che mai come in questa situazione siamo costretti a valorizzare il tempo presente. Normalmente noi ci muoviamo tra la nostalgia del passato e la proiezione verso il futuro e raramente siamo dentro all’attimo presente. Ora, invece, siamo condizionati da questa situazione a fare sì che ci sia una sorta di concentrazione sul presente, che può rivelarsi una risorsa se diventa, per esempio, un modo per ritrovare sé stessi perché è un’occasione per far emergere forse una differente creatività, entrando più profondamente a contatto con sé stessi. Poi, grazie soprattutto ai nuovi linguaggi, abbiamo la possibilità di sopravvivere a questa forma di distanziamento sociale, che ci avrebbe inebetito, se non avessimo avuto la possibilità di mantenere i rapporti attraverso la tecnologia che in questo caso è al servizio della relazione.

Nel momento di preghiera speciale, conclusosi con la Benedizione eucaristica Urbi et Orbi in una piazza San Pietro inusualmente vuota, il Papa ha ricordato che portare la croce significa trovare il coraggio di affrontare le contrarietà del tempo presente per aprire spazi a nuove forme di fraternità, e ha incoraggiato anche ad abbracciare la speranza indicando la via della forza della fede che libera dalla paura. Come aiutare i fedeli a percorrere questa strada?

R. – Cercando in qualche modo di imitare, per quello che è possibile, l’audacia del Papa che ha fronteggiato da solo, in una Piazza vuota, questo momento e abbracciato la Croce, che non significa nessuna deriva masochistica ma significa, appunto, affrontare le contrarietà del tempo presente e mi pare che Papa Francesco, con il suo magistero quotidiano, attraverso la Messa del mattino e anche con tanti momenti pubblici in cui riesce a stare vicino alle persone, come con il messaggio al Tg1, stia incarnando la figura del Pastore che sta vicino alla gente. Altrettanto cerchiamo di fare, nei nostri territori più piccoli, noi Pastori, cercando di attivare forme nuove per stare a contatto con le persone. Noi, ogni sera alle 21, da circa 20 giorni, preghiamo il Rosario, che viene trasmesso in streaming, davanti alla Madonna del Popolo, che è un po’ l’icona mariana più venerata nella zona del Reatino. Non ci siamo ancora ripresi del terremoto e adesso occorre fronteggiare questa emergenza e direi che la cosa importante è proprio quella di essere “dentro” a questo momento, cercando di viverlo insieme e facendo in modo che questa connessione che è iscritta nella dinamica dei nostri rapporti quotidiani, si possa esprimere anche attraverso altre forme, visto che in ogni caso questa vicenda una cosa ce l’ha fatta comprendere in maniera assolutamente chiara ed è quella a cui Papa Francesco più volte ci richiama, cioè che tutto è connesso.

Sempre nel videomessaggio per la Settimana Santa, il Papa ha voluto ricordare con forza che nel silenzio delle nostre città, risuonerà il Vangelo della Pasqua, che in Gesù risorto, la vita ha vinto la morte. Questa fede pasquale nutre la nostra speranza, speranza anche di essere liberati dal male e da questa pandemia. Non illusione – ha precisato – è una speranza. E’ impressionante che nella storia, anche nei momenti più difficili e di persecuzione, sia sempre risuonato questo grido del Cristo risorto….

R. – Questo grido è effettivamente il kerygma, il cuore dell’annuncio evangelico che irrompe nella storia dell’umanità e che ha fatto la differenza rispetto a questa esperienza. La morte e la risurrezione di Gesù per noi cristiani rappresenta l’orizzonte della nostra fede che è appunto la speranza di non morire che soltanto grazie alla vicenda di Gesù di Nazareth, si è pienamente realizzata. Gesù porta a compimento una speranza che viene da lontano, essendo egli un ebreo, e credere in Dio significa scommettere sulla vita che non ha fine perciò io credo che quest’anno la Pasqua la vivremo con ancora maggiore intensità proprio perché sfidati, in modo così imprevisto e così duro, dalla morte potremmo cantare il nostro desiderio di essere messi in salvo e di accedere alla salvezza.

Sarà anche per voi vescovi un modo diverso di vivere la Settimana Santa celebrando ma senza la presenza del Popolo. Questo la colpisce?

R. – Direi che è effetto straniante quello di trovarsi una Chiesa completamente vuota e, tuttavia credo che questa condizione eccezionale che ci troviamo a vivere, possa essere un modo per essere ricondotti a quella che è l’esperienza pasquale nella sua sostanza, senza altro se non, appunto, il cuore della fede, che è questo passaggio dalla morte alla vita, che anche quello che tutti noi desideriamo fortemente in questi tempi.

Da Vatican News