Servizio all’altare della Cattedra in San Pietro: il grazie del vescovo al coro diocesano

La Settimana Santa è il cuore dell’anno liturgico e di conseguenza è anche il periodo nel quale gli impegni della Schola Cantorum «Chiesa di Rieti» si addensano in termini di frequenza e si fanno più delicati e complessi da gestire. A differenza di un coro parrocchiale, quello diocesano deve farsi carico anche di un evento unico come la santa messa del Crisma, con l’intero presbiterio riunito a rappresentare un ulteriore fattore di responsabilità e, inutile nasconderlo, di ansia per una compagine formata da cantori non professionisti. Se a ciò si aggiungono il Mercoledì delle Ceneri, le cinque messe domenicali di Quaresima, le 24 ore per il Signore e l’esperimento di apertura al coro «Giuseppe Rosati» di Sant’Agostino tentato con successo nella Domenica delle Palme, ve n’è abbastanza per mettere a dura prova la tenuta anche del corista più esperto e devoto.

A guidare la preparazione della schola diocesana alla Settimana Santa è, sin dall’anno scorso, la volontà di migliorarsi costantemente non tanto e non solo nella qualità delle esecuzioni, quanto nel tentativo di acquisire una sensibilità liturgico-musicale che sia in linea con i portati autentici della riforma liturgica che il Concilio Vaticano II ha consegnato alla Chiesa. Di qui il duplice sprone, da un lato, a frequentare una musica che si relazioni con la contemporaneità e che guardi al futuro e, dall’altro, ad attingere doverosamente all’immenso patrimonio musicale del passato, collocandolo sapientemente nella liturgia con pertinenza celebrativa. Cercando di coniugare il concetto di partecipazione attiva dell’assemblea con la presenza di nobili segmenti della tradizione musicale della Chiesa, il maestro Barbara Fornara ha operato scelte in grado di garantire il giusto equilibrio tra le istanze dell’ultima riforma e la specificità delle celebrazioni vescovili in Cattedrale.

Nella messa crismale si è così tornati a eseguire in Santa Maria un mottetto di Orlando di Lasso, Dextera Domini, oltre al tradizionale O Redemptor gregoriano e a un caposaldo del repertorio del coro sin dall’ordinazione del vescovo Domenico, l’Ubi caritas con ritornello gregoriano e le strofe con la polifonia di Maurice Duruflé il cui spartito fu a suo tempo fornito dalla Cappella Musicale Pontificia «Sistina». Sempre nell’ottica di una maturazione liturgica oltre che musicale del coro, dal Gloria della messa nella Cena del Signore fino a quello della veglia pasquale i cantori hanno cantato soltanto a cappella, circostanza che ha reso particolarmente suggestiva la celebrazione della Passione del Signore. All’adorazione della croce, alla proposta in canto gregoriano dell’Ecce lignum crucis da parte di un solista la schola ha risposto con un Venite adoremus a quattro voci di forte impatto, mentre i successivi momenti dell’adorazione vera e propria e dei riti di comunione sono stati accompagnati, oltre che da canoni facilmente orecchiabili dai fedeli come Adoramus te, Christe e In manus tuas di Taizé (sempre in polifonia), dallo Stabat Mater a quattro voci su melodia umbra tante volte eseguito dalla gloriosa Schola Cantorum «Santa Cecilia» di don Lino Marcelli e dal corale di Bach in italiano Signore, dolce volte. La veglia, aperta dal canto del preconio in italiano su melodia gregoriana e senza accompagnamento, ha visto la riproposizione del palestriniano Sicut cervus, che, nato come canto processionale per la liturgia battesimale, ha opportunamente enfatizzato la gioia della Chiesa reatina nell’accogliere nel suo grembo un nuovo figlio nella persona del neofita Teseo. Non potevano mancare, infine, l’antifona mariana propria del tempo pasquale, Regina caeli, e la sequenza gregoriana della messa del giorno, Victimae paschali laudes, oltre a qualche recupero dall’ampia gamma di inni cantabili da tutti ma allo stesso tempo solenni e ottimamente armonizzati che la produzione musicale dell’immediato post-concilio ci ha lasciato (in primo luogo il bellissimo Cristo risusciti su melodia del XII secolo).

Prima di impartire la benedizione al termine della veglia, mons Pompili ha voluto espressamente ringraziare la schola per il generoso servizio prestato nei giorni faticosi eppure appaganti della Settimana Santa e soprattutto per l’aiuto che il repertorio scelto e l’atteggiamento dei coristi hanno recato alla preghiera di tutti. Per don Domenico, poco amante degli intermezzi extraliturgici all’interno delle celebrazioni, si è trattato di un gesto irrituale, che peraltro non è stato l’unico. Il grazie del vescovo non si è infatti fermato alle parole, ma si è tramutato in dono concreto: il 30 aprile, III domenica di Pasqua, grazie al suo interessamento i cantori sono stati gratificati anche con l’onore di poter animare una messa all’altare della Cattedra in San Pietro. A presiedere l’arciprete della Basilica Vaticana, il cardinale Angelo Comastri, che prima di congedare l’assemblea ha lodato il contributo del coro alla celebrazione e ha augurato alla diocesi reatina di potersi al più presto risollevare dopo il trauma del sisma che l’ha così duramente colpita. Molto soddisfatti il maestro Temistocle Capone, direttore della cappella musicale del Vicariato di San Pietro e responsabile dell’accoglienza dei cori ospiti in basilica, che ha già rinnovato l’invito per un’altra occasione, e il direttore dell’Ufficio liturgico, padre Ezio Casella, che ha accompagnato la schola nella trasferta romana e ha concelebrato insieme a un altro sacerdote reatino, don Zdenek Kopriva, a Roma con l’Azione Cattolica diocesana per i 150 anni dell’associazione. Don Roberto D’Ammando, anch’egli a Roma per lo stesso motivo, ha ripreso il suo posto fra i tenori, come sempre fa ogni volta che il nuovo incarico di vicario parrocchiale di San Giovanni Battista a Campoloniano glielo permette.

Da giovedì 4 maggio il maestro Fornara, l’organista Lorenzo Serva e tutti i cantori saranno di nuovo al lavoro: all’orizzonte i festeggiamenti in onore della Madonna del Popolo, la veglia di Pentecoste, il Corpus Domini e gli appuntamenti del Giugno antoniano. Chiunque voglia unirsi è ovviamente il benvenuto, purché assuma l’impegno con la consapevolezza che nel coro diocesano si cantano le messe e non si canta semplicemente a messa, che quanti sono animati da un’indole esclusivamente concertistica dovrebbero forse volgersi ad altre realtà corali e, soprattutto, che nella schola nessuno può abbandonarsi alla visione pessimistica e ideologica del “tutto è finito”: come ha recentemente ricordato il maestro Massimo Palombella, direttore della «Sistina», a proposito delle liturgie papali («L’osservatore romano», 11-12 aprile 2017), la grande musica non è stata abbandonata, ma continua a essere inserita in modo appropriato nella liturgia, così da non privare quest’ultima di un «segno sonoro antico e dunque prezioso» che, in un dialogo incessante con la modernità che, solo, può garantirgli persistente attualità, è ancora in grado di aiutare tanti a incontrare il Signore.