Se non ora quando? L’Iniziazione Cristiana tra Chiesa in uscita e uscita dalla Chiesa

Papa Francesco ci sta chiedendo di mettere la Chiesa “in uscita”. Ma, stando a un’indagine, forse è più urgente porci il problema della Chiesa “in entrata”.

Piccoli atei crescono: è il titolo di un interessante libro di Franco Garelli, «esito più rilevante di una recentissima inchiesta nazionale che mette a fuoco la situazione in campo religioso dei giovani dai 18 ai 29 anni». Parlando del «significato che assume per un paese come il nostro l’aumento di giovani che dichiarano in modo esplicito di essere non credenti» l’autore afferma: «Solo alcuni di questi soggetti provengono da nuclei familiari di matrice ateo-agnostica o indifferente alla religione… Per contro, molti giovani che oggi si dichiarano atei o non credenti hanno maturato questo orientamento dopo un percorso più o meno intenso di formazione religiosa, essendo stati introdotti dalla famiglia ai primi sacramenti della vita cristiana e avendo frequentato per un certo periodo gli ambienti ecclesiali».

Più avanti ci viene detto che la maggior parte di questi giovani «esprime giudizi assai tranchant sul ruolo della Chiesa nella società italiana, riproponendo l’immagine di un’istituzione sempre più vecchia, stanca e malandata, emblema – tra l’altro – di una religione imposta troppo precocemente ai giovani frutto più di una decisione di altri e del condizionamento dell’ambiente che oggetto di libera scelta». Garelli spalanca davanti a noi una finestra che ci mette di fronte ad un paesaggio decisamente preoccupante. Se le cose stanno come lui le racconta, non possiamo non sentire impellenti tante domande alle quali è giunto il momento di rispondere con decisione, con sincerità e con coraggio.

Papa Francesco ci sta chiedendo con insistenza in ogni suo intervento di mettere la Chiesa “in uscita”. Ma, stando a quanto emerge dall’indagine condotta da Garelli, forse sta diventando più che mai urgente porci il problema della Chiesa “in entrata”. In altre parole: se è vero che l’uscita dalla religione per quanto riguarda il nostro paese è un fenomeno che mette radicalmente in discussione il nostro modo di formare i giovani, non possiamo rimanere ad osservare, magari con il pianto nel cuore e il lamento sulle labbra, la lenta agonia di una chiesa che vede coloro per i quali ha speso e continua a spendere la maggior parte delle sue energie fuggire da lei perché ritenuta «vecchia, stanca e malandata». Né possiamo continuare a scommettere su quella che mi piace definire la “fede parentale”, tipica dell’esperienza del popolo dell’antica alleanza dove, appunto, si era credenti per nascita, per appartenenza familiare, dal momento che la fede dei genitori diventava la fede dei loro figli. È la fede che in qualche modo stava in piedi quando si viveva in quella societas christiana, ormai tramontata, in cui vigeva il cosiddetto “catecumenato sociale”.

A noi, popolo della nuova alleanza, dovrebbe appartenere un’altra logica. È la logica del Vangelo, quella del “se vuoi…”. È evidente che l’invito di Gesù non può né deve essere interpretato come un «se vogliono i tuoi genitori o chi per loro». La fede che lui chiede ai suoi discepoli non è “parentale”, né tantomeno ambientale, ma è personale. Questo richiede che chi vuole essere discepolo di Gesù non può “diventarlo” senza aver ascoltato la sua proposta, averla compresa, averla accolta come la scelta fondamentale della sua vita. «Cristiani non si nasce, ma si diventa»: queste parole di Tertulliano (Apologetico XVIII,5) le abbiamo ascoltate e dette un’infinità di volte, ma dobbiamo con sincerità riconoscere che, nella concretezza della prassi pastorale, le abbiamo scritte su una bella lapide cimiteriale di fronte alla quale magari ne abbiamo riconosciuto la bellezza e rimpianto l’efficacia di quando erano in vita.

Ma vorrei allargare l’orizzonte di questa riflessione chiedendomi e chiedendo: dove stanno andando i paesi a tradizione cristiana, che hanno la presunzione di rivendicare la superiorità della loro civiltà perché non esitano a qualificarla come cristiana? Non mi pare che l’aria che si respira abbia il sapore dello Spirito che Cristo ha effuso sulla sua Chiesa per abilitarla all’annuncio del Vangelo ad ogni creatura e per ricordare ad  ogni uomo e ad ogni donna che la vera fede consiste nell’amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi.

Oggi peggio di ieri? Sono convinto che le cose non stanno così e che il nostro oggi sta facendo venire semplicemente i nodi al pettine. Già lo storico J. Delumeau, qualche anno fa, parlando della scristianizzazione sosteneva che usando questo termine dovremmo domandarci se davvero nel corso dei secoli si è fatta autentica cristianizzazione attraverso l’annuncio del Vangelo e se si può parlare di una Chiesa fatta da persone convinte o se ha prevalso il condizionamento, l’indottrinamento, la convenzione o addirittura la costrizione.

Non entro nel merito, ma penso di poter condividere quello che Garelli scrive a proposito dell’incredulità dei giovani di oggi rispetto ai loro padri: «Vi è un altro punto importante su cui si registrano una convergenza tra i giovani credenti e giovani atei o agnostici o indifferente alla religione: la messa in discussione dell’idea che la loro sia la generazione più secolarizzata della storia (perlomeno nazionale); in altri termini che le generazioni precedenti (cioè i loro genitori e nonni) siano l’emblema di una fede più convinta partecipata rispetto a quanto si registra oggi nell’universo giovanile». Non vi è mai stata «un’età dell’oro della fede… alla quale pensano molti osservatori e uomini di chiesa quando lamentano il calo delle vocazioni, le chiese semivuote (soprattutto di giovani), l’analfabetismo cristiano delle nuove generazioni». Poco più avanti troviamo un’interessante riferimento ad un saggio di A. Matteo che, nel 2010, attribuiva la disaffezione dei giovani rispetto alla fede ad “una sordità che dice incredulità, ovvero un’assenza di antenne per ciò che la chiesa è e compie” (cf. cit. p. 21).

Questo il quadro che mi sento di condividere e di fronte al quale emerge un’istanza che non possiamo ulteriormente trascurare nella nostra prassi pastorale. È giunto il momento di ricordarci che «nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio» (Lc 5,16). Interpreto: non si può strappare qualche pezzo di Vangelo (il nuovo), per rattoppare il vecchio vestito di una prassi pastorale che ha prodotto questi effetti. Occorre “rivestirsi di Vangelo” e questo significa rifondare radicalmente la prassi pastorale dell’Iniziazione Cristiana, il vero enorme problema che non sembra abbiamo molta voglia di affrontare perché ci metterebbe tutti in discussione. Si tratta di “ripartire da Cristo”. Si tratta di ritornare alla sorgente del Vangelo dove a proposito della missione della Chiesa leggiamo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15s.).

La frase ha una sua chiarezza indiscutibile: il discepolo di Gesù non può arrivare al battesimo senza la fede che nasce dall’ascolto e dall’accoglienza del Vangelo. Il Vangelo ci racconta chiaramente che la salvezza arriva anche a prescindere dalla fede e dal battesimo per gli uomini e le donne che vivono una dimensione umana rispettosa degli altri (cf. la risposta di Gesù al ricco che gli chiede come possa avere la vita eterna: Mc 10,18-20) o che hanno saputo dare un po’ di amore e di attenzione a chi ne ha bisogno (cf. il giudizio universale in Mt 25, 31-46).

Il battesimo è la tappa conclusiva di chi, ascoltando e accogliendo il Vangelo, intende consapevolmente e liberamente diventare discepolo di Gesù ed entrare a far parte della sua chiesa. Ma per chi lo riceve senza fede lo stesso battesimo diventa motivo di condanna. Sì, io credo che la frase di Marco debba essere letta e riletta senza travisarla: il battesimo (e con esso tutta la vita sacramentale) salva quando si regge sulla fede che nasce dall’ascolto del Vangelo e dalla scelta libera, non condizionata, di Gesù e della sua Chiesa.

E qui sorge una domanda: cosa pensare, alla luce delle parole di Gesù, di noi che continuiamo a celebrare il battesimo e gli altri sacramenti ben sapendo che molti (la maggior parte?) di coloro che li chiedono non hanno minimamente la consapevolezza di ciò che significano e dell’impegno che si assumono davanti a Dio?

Questo è il “nuovo” su cui – se non ora quando? – siamo chiamati a ri-costruire l’identità del cristiano e della Chiesa. Questa è la sfida che Dio ci sta proponendo facendoci raccontare da coloro che attraversano il territorio della nostra Chiesa per andare dritti ai sacramenti sotto la spinta e il condizionamento della loro famiglia che la Chiesa da cui fuggono è «un’istituzione sempre più vecchia, stanca e malandata».