Se il male appare invincibile

Accade con “Gomorra”, ormai anche un caso giudiziario. Troppa contiguità.

Si tratta di una commedia amara, anzi di una “Gommedia”, quella che sta coinvolgendo alcuni dei produttori esecutivi della serie tv “Gomorra” prodotta da Cattleya, Fandango e Sky. Secondo le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli il boss camorrista Francesco Gallo ha costretto il location manager della società di produzione della serie, Gennaro Aquino, e gli organizzatori generali (sono le persone che si occupano di gestire la logistica sul set, dai pasti ai permessi stradali) Gianluca Arcopinto e Matteo De Laurentiis a sborsare soldi extra per una villa regolarmente affittata per le riprese (era quella dove viveva il Savastano della fiction). Le indagini, il testo di alcune intercettazioni e i primi provvedimenti delle autorità inquirenti hanno fatto saltare sulla sedia i vertici della società di produzione “Cattleya”. Il loro comunicato di smentita è secco. “Cattleya ribadisce la sua posizione di assoluta estraneità ai fatti riportati. Cattleya conferma di non essere a conoscenza di alcun ulteriore versamento rispetto a quelli effettuati con le modalità sopra precisate, in adempimento del contratto di locazione”, hanno detto subito ai giornali. Fin qui la cronaca.

Inducono a una riflessione ulteriore le dichiarazioni dello scrittore Roberto Saviano, autore e ispiratore della serie tv. Nelle sue prime “esternazioni” ai giornali e sul proprio account Facebook, lo scrittore sembra più preoccupato dell’aspetto legale che di quello morale. Parla di “totale estraneità” per liberare il campo dai sospetti di connivenza. La verità giudiziaria, ovviamente, gli darà ragione. C’è però l’aspetto morale di tutta la vicenda della “parabola” Saviano (e del suo libro “Gomorra”) che merita un approfondimento diverso. A camminare con lo zoppo, dice l’antico adagio, si impara a zoppicare. La stretta vicinanza, senza antidoti, con le persone della camorra (la villa affittata era veramente di un boss) è pericolosa. Il libro “Gomorra”, come si sa, nel 2006 provocò molto rumore per alcune “minacce” della Camorra all’autore. Vere o presunte che fossero (le indagini non sono mai state molto chiare a questo proposito), ottennero però il risultato paradossale di costruire un nuovo personaggio pubblico, adatto per convegni, interviste, lunghi articoli sui principali quotidiani e, ovviamente, “pensose” comparsate in tv. Il dado era tratto.

Dal libro, nel 2008 venne tratto uno spettacolo teatrale (subito premiato) e, nel 2009, un film, di Matteo Garrone, anche in questo caso ricoperto di medaglie e riconoscimenti. Finalmente nel 2013, Cattleya, insieme con Fandango e Sky, decisero di realizzare anche una serie per la tv. Narrativamente la serie non raccontava le stesse “storie” del libro o del film, ma era ispirata alla medesima filosofia. Il “male” era un protagonista assoluto del racconto. Messo totalmente in disparte, fino a scomparire, invece era il “bene” (forze dell’ordine, preti anticamorra, associazioni di volontari) che ogni giorno a Scampia e dintorni lotta per restituire la speranza ai giovani e alla famiglie accerchiate dal potere camorrista. Il risultato è sconcertante.

Saviano ha sempre affermato di aver voluto “denunciare” fatti e misfatti di uno dei più longevi poteri criminali in Italia. Il libro e le opere che ne sono nate, però, danno invece l’idea che questa organizzazione sia invincibile e che agisca completamente indisturbata. Una verità violentemente dimezzata, soprattutto se si pensa al pesante contributo di sangue (poliziotti, giornalisti, preti e semplici passanti innocenti) che ha caratterizzato la lotta per la legalità in questi anni. “Allora cos’altro è quello che viene chiamato male, se non privazione del bene?”, si chiedeva già Sant’Agostino più di 18 secoli fa. “Si potrebbe dire che l’uomo soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa, dal quale viene, in un certo senso, tagliato fuori, o del quale egli stesso si è privato”, aveva scritto Giovanni Paolo II nella Enciclica “Salvifici Doloris”. L’infelicità della nostra epoca, così frenetica, affascinante ma disordinata, nasce anche in questo modo. I mass media sembrano preferire il male e ci privano di una visione del bene. La riflessione per la prossima giornata mondiale delle comunicazione sociali potrebbe partire anche da qui.