Saremo ancora esodati?

In occasione della prima udienza nella storia secolare dell’Inps, Papa Francesco ha parlato di riposo, vecchiaia, rispetto per chi lavora, soprattutto le donne. Temi di grande attualità, ma che non sempre vengono raccolti dal dibattito pubblico

«Non sono contento di aver azzeccato lo slogan di tre anni fa: “Saremo tutti esodati”. Avrei preferito essere smentito. Ed invece…». A parlare è Tonino Pietrantoni, Coordinatore Inca Cgil Roma e Lazio, con il quale riprendiamo il filo di una provocazione lanciata da «Frontiera» qualche anno fa e che sembra essere tornata attuale con l’udienza concessa da Papa Francesco ai dipendenti dell’Inps.

Tonino, anche il Papa si è accorto che saremo tutti esodati!

Tutte le persone di buon senso se ne accorgono. Anzi: lo sanno benissimo! Ma le dichiarazioni di papa Francesco sono importantissime: possono dare forza e coraggio ad istanze delle persone comuni che nel dibattito politico di oggi paiono decisamente poco ascoltate.

A volte si ha l’impressione che le tristi prospettive pensionistiche di tanti vengano vissute dagli stessi interessati in una sorta di rassegnata indifferenza. Forse è per sfuggire all’angoscia per il futuro, o per rimuovere il sentimento della sconfitta…

Il guaio è che la riforma Fornero è passata come risposta all’emergenza economica del Paese. È servita per pareggiare i conti, almeno sulla carta. Invece di prendere le risorse dove realmente sono, si è attinto dal sistema di protezione previdenziale e sociale. Ha vinto l’idea di salvare l’Italia anche a costo di uccidere gli italiani. La voce di chi si è opposto all’operazione è stata debole e nessuno a livello politico ha raccolto. Anche l’azione del sindacato non è stata all’altezza. Un’insufficienza che ha portato ad una rottura con le persone che rappresentiamo. Ma questo non deve segnare una resa: è il punto da cui ripartire.

Proviamo a spiegare la criticità del sistema italiano?

Beh, entro un decennio assisteremo alla graduale uscita dal mondo del lavoro di quanti andranno in pensione con il sistema prevalentemente retributivo. Sono le persone che hanno maturato 18 anni di contribuzione entro il 31 dicembre 1995. Successivamente si avvicineranno alla pensione solo lavoratori che la vedranno calcolata con il sistema misto, con il progressivo incremento delle fasce per le quali si applicherà il solo calcolo contributivo. Detto brutalmente, per tanti vorrà dire pensioni da fame, di poche centinaia di euro. Sarà una grande questione sociale. Per questo bisogna avere il coraggio e la forza correggere il tiro da subito.

Oltre a quella del Papa, altre voci in questo periodo hanno sollevato il problema di un sistema previdenziale poco equilibrato. Ad esempio il presidente dell’Inps Tito Boeri…

Boeri è certamente avvertito del problema, ma mi pare cerchi un rimedio nel tentativo di accattivarsi un consenso popolare con la proposta di tagliare le pensioni più ricche. Su questo sarebbe bene essere attenti e chiarire quale soglia si intende stabilire. Perché il tema sono le pensioni povere: è giusto ridimensionare pensioni altissime se ingiustificate, ma le risorse debbono essere finalizzate ad una maggiore equità. Chi dice di voler ricalcolare tutto con il solo sistema contributivo indica una strada che trasforma l’età del riposo in un tempo privo di protezioni.

Il Papa ha parlato di “estremismi aberranti” che hanno snaturato il concetto di “cessazione lavorativa”. E mi pare abbia colto un punto decisivo nel non separare il lavoro dal riposo, collegando in modo esplicito le aberrazioni del precariato all’incertezza pensionistica. Anche questo non è un ragionamento troppo frequente. Di solito le due prospettive vengono trattate separatamente.

Il punto è che il sistema contributivo favorisce le retribuzioni alte e penalizza quelle medio basse. È un sistema che non funziona e non garantisce equità, soprattutto in un Paese che non cresce e che avrà bisogno di decenni prima di ritornare – se mai ce la farà – ad una economia paragonabile a quella precedente la crisi. Soprattutto non funziona in un mercato del lavoro in cui il vecchio “posto fisso” va a scomparire. Il sistema contributivo penalizza soprattutto il popolo delle partite Iva, del lavoro a chiamata, dei collaboratori coordinati, che già sono privi di molte altre tutele. E ancora peggio accade se parliamo di lavoratrici, ma anche su questo mi pare che il Papa abbia detto qualcosa.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di non fare, come diceva don Lorenzo Milani: «Parti eguali tra diseguali»?

È un problema aperto. Il mondo è certamente cambiato. Un obiettivo potrebbe essere quello di armonizzare le modalità di accesso al mondo del lavoro e quelle di uscita tenendo conto delle esigenze di flessibilità, ma senza penalizzare nessuno. Il rigido innalzamento dell’età pensionistica cui abbiamo assistito in questi anni spinge in direzione decisamente opposta.

A proposito di questo il Papa ha sottolineato che «l’eventualità del riposo è stata anticipata, a volte diluita nel tempo, a volte rinegoziata fino ad estremismi aberranti, come quello che arriva a snaturare l’ipotesi stessa di una cessazione lavorativa».

È esattamente come dice Papa Francesco. A costo di sembrare irriverenti si potrebbe commentare con una battuta, dicendo che dopo la Fornero la pensione e il riposo quasi coincidono del tutto: con il riposo eterno naturalmente!

Scherzi a parte, sembra un’impostazione dalle forti implicazioni sociali…

Infatti l’aspetto sociale si somma a quello economico l’altro quello sociale. Il futuro vedrà la scomparsa di un’intera fascia sociale. Ed è quella che in qualche modo ha rappresentato e rappresenta il puntello della famiglia e quindi della società. Mio nonno non ebbe la pensione, viveva con i figli e non ha mai potuto conoscere la soddisfazione di regalare un centesimo ai propri nipoti, Mio padre l’ha potuto fare, io non lo so, i miei figli non lo potranno fare. Di colpo si torna indietro di tre generazioni. Un peggioramento che riguarderà la qualità della vita degli anziani e non solo.

Chi spinge in questa direzione sostiene che è inevitabile, che c’è dietro una necessità concreta, che la brusca virata dipende da generazione che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità. C’è del vero?

Sì, c’è del vero. Ma questo richiederebbe misure specifiche e non misure che colpiscono nel mucchio. Nessuno nega che serviva e serve cambiare. Qui si contesta il merito del cambiamento. I lavori e le situazioni non sono tutte uguali. È sbagliato che tutti possano e debbano andare in pensione a 70 anni. Non tutti hanno lo stesso percorso lavorativo continuo e progressivo. C’è la precarietà, ci sono periodi di perdita del lavoro e dunque di contribuzione. Ci sono livelli retributivi ingiusti e di forte disparità.

La situazione sembra buia e disperata. Non ci sono elementi di speranza?

Le parole del Papa sono un grande segnale. Accendono la luce su un problema serio. Di questo occorre essere grati perché ci sono ampi margini di miglioramento concretamente possibili. Ma le parole di uno solo – anche se è il Papa – non bastano. Ci vogliono una presa di coscienza e una capacità diffusa. E su questo dovrebbero lavorare tutte le persone di buona volontà.