Chiesa di Rieti

San Tommaso non crede, perchè è lontano dalla comunità

Nell'omelia di oggi, il vescovo Domenico si è soffermato sulla condizione di san Tommaso, che pretende di mettere le dita nelle ferite di Gesù, per credere alla sua Resurrezione: «È grazie alla fede, sempre fragile, della Chiesa “del primo e dell’ottavo giorno”, che possiamo essere detti beati, pur essendo quelli che non hanno visto e hanno creduto»

La sera di quel giorno, il primo della settimana… venne Gesù.

Se prima erano stati Maria di Magdala e i due discepoli ad imbattersi nel sepolcro vuoto, ora è il Risorto stesso a farsi incontro.

«Il che sta a dire che la Resurrezione non è un’invenzione umana, ovvero “una proiezione dei nostri bisogni”, visto che nessuno si aspetta nulla», ha detto il vescovo Domenico durante l’omelia di oggi.

«È il Risorto a provocare i discepoli stessi ad un cambiamento: da paurosi e divisi diventano un gruppo motivato e coraggioso. E lo fa mostrando loro “le mani e il fianco”, come a ribadire la sua identità di Crocifisso-Risorto e “soffiando” , come in una nuova creazione. Anche noi siamo tappati in casa, impauriti e anche un po’ esausti. È tempo di “uscire” almeno con il pensiero, immaginando quel che avverrà. Di sicuro abbiamo bisogno anche noi della “remissione dei peccati”, che non è un colpo di spugna, ma il riconoscimento di tutte le ingiustizie, i peccati e gli errori del recente passato. Occorre riconoscere i nostri limiti, senza lasciarsi circoscrivere da essi. Questa e non altra è la misericordia».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.

«Tommaso non crede perché è lontano dalla comunità che resta il luogo di esperienza della Resurrezione nel passaggio che induce a compiere dall’io al noi. Abbiamo imparato in questa tragica vicenda che ‘nessuno si salva da solo”. In effetti, la chiesa è il luogo dove ascoltare la Scrittura, celebrare l’Eucaristia e vivere la carità. Fuori di queste tre cose non si dà possibilità di credere a Cristo Risorto. Di qui l’esigenza di ritrovare presto tutte e tre queste dimensioni: l’ascolto della Parola, che a dire il vero in questa fase non è mai mancato; l’Eucaristia domenicale che dovrà essere sempre il nerbo della vita insieme e la carità che non è un optional per le emergenze, visto che i poveri li avremo sempre tra noi».

«Tommaso è chiamato ‘Didimo, cioè ‘gemello’, ma anche ‘doppio’ Infatti, crede a sé più che a Dio, dà spazio alla durezza più che alla fiducia, asseconda i suoi umori più che garantire la presenza in mezzo agli altri. La fede, però, non è possibile individualmente e non regge all’isolamento forzato. Per questo quando Tommaso “otto giorni dopo” si ritroverà con gli altri, non avrà più bisogno di mettere le dita nelle ferite del Risorto. Tommaso deluso aveva scelto di credere per conto suo, allontanandosi dagli altri e aveva finito per diventare incredulo. Grazie alla fede degli altri, Tommaso torna sui suoi passi. Accade così anche per noi: è proprio grazie alla fede, sempre fragile, della Chiesa “del primo e dell’ottavo giorno”, che possiamo essere detti beati, pur essendo quelli che non hanno visto e hanno creduto».