San Severo, la morsa del crimine. «Germi buoni per arginare il male»

Mons. Giovanni Checchinato è giunto da poche settimane nella diocesi pugliese. La criminalità segna il territorio, ma la voglia di riscatto non manca. Accanto alla repressione occorrono iniziative virtuose in chiave preventiva. L’incontro con una realtà civile ed ecclesiale attiva. Le attese della popolazione legate alla vita quotidiana: famiglia, lavoro, giustizia sociale.

“Incontro tante persone impegnate, buone, e ricevo un’accoglienza calorosa… Vedo giovani appassionati e carichi di speranza, nonostante i problemi del territorio”. Mons. Giovanni Checchinato lo scorso 6 maggio ha fatto l’ingresso ufficiale nella diocesi di San Severo: Papa Francesco lo aveva chiamato al nuovo incarico a gennaio; ad aprile l’ordinazione episcopale. Al Sir racconta una realtà che sta conoscendo passo passo, e che mercoledì 24 maggio ha vissuto un altro episodio di criminalità, con un duplice efferato delitto in pieno giorno, che ha portato il sindaco, Francesco Miglio, a fare appello alle autorità dello Stato invocando “misure straordinarie” sul fronte della sicurezza.

Monsignore, da pochi giorni è vescovo della diocesi di San Severo: quali impressioni ha ricevuto sinora?
Sto conoscendo persone di ogni età che mi raccontano le loro vicende, mi pongo in ascolto della realtà ecclesiale e civile. Venerdì 26 maggio, ad esempio, si è svolto un incontro con i giovani e le famiglie in preparazione al Sinodo: c’erano 700 partecipanti, fra cui tanti ragazzi, giovani coppie, operatori pastorali.

Abbiamo pregato insieme e poi abbiamo condiviso analisi, progetti, sogni…

Quali sogni?
Legati alla vita quotidiana, alla famiglia, alla salute, al lavoro, alla giustizia sociale. Siamo partiti dal brano della Bibbia in cui Dio chiede ad Abramo di lasciare la sua terra: da qui, è stato detto, si parte non per rispondere a un volere di Dio, ma perché mancano opportunità lavorative e prospettive per i nostri figli. L’emigrazione è una “prospettiva” piuttosto consueta.

E la Chiesa? Quale immagina se ne ha generalmente?
Mi par di intuire che la Chiesa sia vista come un possibile baluardo, come un soggetto positivo, una presenza ecclesiale favorevole anche nella vita sociale, un avamposto di valori.

La criminalità sembra non dar pace a San Severo.
Sì, è vero. La gente ne parla, la preoccupazione è diffusa. Le strutture diocesane più addentro al tessuto sociale si dimostrano attente e sensibili. La Caritas ha sottoscritto un documento assieme al centro di aggregazione giovanile Epicentro, presenza molto bella e attiva, per lanciare ancora una volta un appello alla legalità.

C’è piena consapevolezza del problema, di fronte al quale, però, la repressione non basta.

Il sindaco parla di situazione di “straordinaria gravità”. Lei cosa ne pensa?
Se il sindaco si è espresso in questo modo ha certamente tutte le ragioni per farlo, avendo il polso della situazione. Del resto sappiamo che il contrasto al crimine è un passo doveroso, al quale però occorre accostare un’azione preventiva ad ampio raggio, che richiede la realizzazione di attività virtuose che passano dalla politica, dall’economia e dal lavoro, dalla cultura, dalla scuola, dal vissuto quotidiano. Ho già conosciuto innumerevoli associazioni che mostrano vivacità, così pure sono presenti nelle parrocchie sacerdoti, laici, gruppi i quali confermano che questa non è certo una terra avvilita o rassegnata. Occorre far fronte comune e far crescere germi buoni che facciano da argine al male.

Se potesse rivolgere un messaggio alla città di San Severo e alla sua diocesi, cosa direbbe?
Direi appunto che il male non ha mai l’ultima parola. Il bene parla, magari con un tono più sommesso, ma tenace e vero. Insieme dobbiamo promuovere il bene e la vita, sempre, comunque e dovunque.