I rumori e il brusio

La “preghiera” non fa notizia, ma spesso vola con i media

Capita a volte che nei giornali si legga e nei servizi radiotelevisivi si senta la parola “preghiera” oppure il verbo “pregare”.

E’ accaduto nei giorni scorsi per Gianluca Salviato liberato dopo otto mesi di sequestro in Libia. Alla domanda su quale risorsa l’avesse sostenuto in quella prova ha risposto: “Ho pregato…”.

E ancora nei giorni scorsi, anche se su tutt’altro fronte, Barbara Pozzo, signora Ligabue, autrice di “La vita che sei, 24 meditazioni sulla gioia” ha richiamato in un’intervista il valore e il significato della preghiera.

Un’esperienza, in questo caso, vista come “un esercizio di concentrazione dell’energia” e non come incontro tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Ma anche percorrendo questa pista laica si può arrivare più in alto del previsto.

I media a volte danno spazio, non importa se piccolo o grande, alla parola “preghiera” e questa breccia suscita qualche domanda. Come è possibile dare valore mediatico a un’esperienza invisibile e fatta di silenzio? Come è possibile dare rilievo a ciò che secondo l’opinione pubblica prevalente è inutile? Come è possibile raccontare qualcosa che, con la sua fragilità, è esattamente all’opposto del potere, dell’apparenza, dell’efficienza?

Non c’è dubbio: la preghiera fatica a entrare nella categoria del notiziabile.

Eppure ai bordi della cronaca se ne intravvedono diverse tracce nei volti, nelle parole e nelle immagini del racconto mediatico .

Sono tracce di umanità che vengono tolte dal nascondimento anche solo per qualche secondo.

“Ho pregato…” ha detto Gianluca Salviato, liberato dai sequestratori, e questa sua risposta rilanciata dai media è già uno scalfire la crosta di un’informazione che ha fretta, che ha molte se non troppe cose da dire.

Può allora sembrare strano che i media, forse senza accorgersi, disegnino percorsi lungo i quali è possibile scoprire le tracce del mistero dell’uomo.

Ai bordi della cronaca ci si accorge di un messaggio che viene diffuso a bassa voce, quasi un brusio.

“Ho pregato…” non lo ha però detto solo Gianluca Salviato : lo hanno detto e lo dicono persone di fronte alle case e alle piazze riempite dal fango, di fronte alle risposte della magistratura alle vittime dell’amianto, di fronte all’esplosione della guerra tra poveri alle periferie delle città.

La traccia della preghiera, con diverse intensità, è apparsa più volte non certo per indicare la via della rassegnazione, del disimpegno, dell’estraneità .

Al contrario ha indicato e indica la strada della responsabilità, della partecipazione, del servizio e anche dell’indignazione.

Ma anche, questa traccia, è sulla strada che porta ai confini con il mistero dell’uomo.

La stessa preghiera vista da Barbara Pozzo come “un esercizio di concentrazione dell’energia” può essere un passo lungo questa strada. La stessa scrittrice aggiunge infatti che “Per essere felici dobbiamo essere interi”. Ma essere “interi” non significa forse essere pienamente umani? E non è forse qui che si inserisce il pensiero sul mistero dell’uomo, sul suo destino? Ecco, anche i media, pur con la loro frettolosità, possono essere alleati nella ricerca di una risposta, di una sinesi.

Forse la preghiera tornerà in questi giorni grazie alla cronaca che racconterà il volo nello spazio di Samantha Cristoforetti. Non è importante che i media lo dicano ma molti accompagneranno con la preghiera l’avventura di questa donna e dei suoi compagni. Ai bordi della cronaca, pur con tutti i rumori delle notizie, si avverte già un brusio che arriva fino alle stelle.