Robert Spaemann: la verità e la vita buona

‘Fini naturali”: il libro del filosofo Robert Spaemann ieri in una conversazione con il card. Ruini, mons. Romera, Belardinelli e Allodi

“Un arcano di tutti gli altri miei lavori”. Così Robert Spaemann, 85 anni, uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, ha definito la sua opera “Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico”, di cui è stata pubblicata la traduzione in italiano, a cura delle Edizioni Ares. Concludendo la giornata di studio a lui dedicata, svoltasi ieri alla Pontificia Università della Santa Croce (Pusc), il filosofo tedesco ha spiegato che con “Fini naturali” ha “cercato di mostrare come i processi vitali possano essere intesi soltanto come processi orientati, nei quali si realizza una sorta d’impulso che non si lascia ridurre a processi casuali”. A differenza degli animali, gli uomini “non vengono guidati ciecamente dall’istinto, bensì lo interpretano: è il lògos che decide della qualità etica di esso”. Infine, un desiderio: “Mi piacerebbe scrivere, ma sono troppo vecchio per farlo, una ontologia sulla base fondamentale dei concetti di vicinanza e lontananza. Avrebbe conseguenze imprevedibili e sorprendenti”. Alla giornata in onore di Spaemann sono intervenuti il card. Camillo Ruini, autore della prefazione a “Fini naturali”, mons. Luis Romera, rettore della Pusc, Sergio Belardinelli, ordinario di sociologia dei processi culturali all’Università di Bologna, e Leonardo Allodi, docente nello stesso ateneo, nonché curatore del volume, in cui l’autore accompagna il lettore in un viaggio nella storia di una delle categorie fondamentali della filosofia occidentale: quella della teleologia (scienza dei fini), oggi al centro di una rivalutazione nei dibattiti sulla bioetica, sulla biopolitica, sull’ecologia.

Sempre in agenda.

“Se c’è un tema che è sempre in agenda, è il tema di chi è l’uomo, di chi siamo noi”, ha affermato mons. Luis Romera, secondo il quale “senza identità, senza teleologia, diventa problematico elaborare un pensiero etico che rispetti le esigenze autentiche dell’essere umano”. Una lezione, quella di Spaemann, da recuperare “in una società utilitaristica, dove predomina il pensiero strumentale e c’è carenza di un pensiero che aiuti gli esseri umani a orientare la propria esistenza”, concepita come “un insieme di diversi frammenti che a volte è difficile comporre”. “Una forma originale di dialogo tra il cristianesimo e il mondo, tra il cristianesimo e la cultura oggi prevalente”: così il card. Camillo Ruini ha definito quello che, a suo dire, è il “capolavoro” di Spaemann, la cui filosofia “si muove dal di dentro del pensiero, sia classico sia moderno, non solo tedesco, ma europeo e nordamericano”. “Fine interprete della storia”, Spaemann “si pone il problema della verità delle cose e della promozione della vita buona, perché quando ci s’interessa alla verità, ci s’interessa anche a quello che è il bene”. Nel libro in questione, per il card. Ruini, l’autore indica “piste di soluzione per la nostra crisi di civiltà, non attraverso il rifiuto e la distruzione, ma attraverso il recupero e il rinnovamento delle radici più autentiche del nostro tempo”.

Antidoto al riduzionismo.

“La ragione è la forma della vita, e la riduzione, come vuole il positivismo, della ragione a mero dominio della natura impoverisce la vita stessa e ci mostra come tale dominio non possa mai essere l’unico e più alto fine dell’uomo”, ha affermato il card. Ruini riassumendo la posizione assunta da Spaemann in “Fini naturali”. “Per la critica della ragione positivista”: potrebbe essere questo, secondo il cardinale, il “titolo ideale” dell’opera del filosofo tedesco, in cui si dimostra che la “città degli scienziati” non è che un’ennesima “metamorfosi” della “città di Dio”. “Proprio la scienza, quando cerca di farsi legame sociale, alla fine è costretta a riscoprire la religione”, ha detto il cardinale, ricordando che “fu il cristianesimo, grazie alla sintesi tra aristotelismo e dottrina della creazione operata da Tommaso, a raggiungere il compimento di una visione teleologica del mondo”. Tra le concezioni dominate da un “antiteologismo radicale”, Spaemann nel suo libro prende in considerazione il darwinismo biologico, per dimostrare come “anche in biologia il tentativo di rinunciare a concetti teleologici si rivela fallimentare”. Di qui la necessità della “riscoperta della teleologia”, a partire “dalla consapevolezza, oggi ormai molto diffusa, di che cosa significhi riduzione della natura alla sua spiegazione causale, e cioè alla volontà di dominare la natura”. In un “dialogo serrato con la cultura contemporanea”, ha concluso il card. Ruini citando le ultime parti del volume, Spaemann mette in evidenza “le conseguenze di questa progressiva de-teologizzazione del dominio della natura, la quale non può che ricadere sulla natura stessa, ridotta a mero oggetto manipolabile, e divenire autodistruttiva”.

Stoicismo cristiano.

“Poter dire senza complessi ciò che sta sotto gli occhi di tutti che non siamo più capaci di vedere”. Risiede in questo, secondo Sergio Belardinelli, quella “ingenuità istituzionalizzata” che è un po’ la cifra filosofica di Spaemann, a parere del quale “non solo gli uomini, ma anche la natura in generale deve essere guardata come se avesse qualcosa che sia fine in se stesso, non riducibile quindi all’utilità che possiamo trarne in quanto uomini. Non è solo la natura umana un fine non disponibile: il nostro ambiente naturale chiede di essere guardato con occhio pieno di rispetto, altrimenti rischiamo che il nostro desiderio di dominio ci si rivolti contro”. Per Leonardo Allodi, quello di Spaemann si può definire uno “stoicismo cristiano”, in cui “vita significa sempre un mirare, un aspirare a qualcosa, in ogni caso aspirare a essere”, e “vivere conformemente alla natura e vivere secondo ragione coincidono”.