Il ritorno del lieto fine

“Tutto può cambiare” di John Carney: una miscela di musica e sentimenti

Quando il cinema non aveva ancora le velleità autoriali che, col tempo, sono diventate più una croce che una delizia per il linguaggio della settima arte, la preoccupazione maggiore dei cineasti era quella di realizzare film che potessero piacere al pubblico. Pellicole perfettamente narrate, dai meccanismi ad orologeria, recitate da grandi attori e bellissime attrici che potessero essere un polo d’attrazione inimitabile, sostenute da colonne sonore potenti e concepite come fiabe provviste di un lieto fine. Da questi ingredienti sono nati film come “A qualcuno piace caldo”, “Come sposare un milionario” o “Cantando sotto la pioggia”, solo per rimanere nel genere commedia/musical. Opere che ai tempi non venivano salutate come capolavori, ma che il tempo ha fatto diventare capisaldi della settima arte, regalando loro uno statuto “autoriale” senza che le stesse fossero state concepite a tavolino come tali.

Oggi troppo spesso ci si dimentica di questo lavoro “artigianale” del cinema, della sua funzione eminentemente narrativo-spettacolare, di intrattenimento, di strumento nato e concepito per essere visto dal maggior numero di persone possibile. Si assiste così alla creazione di film che, pur nati sotto l’aura dell’opera d’autore, cioè intellettuale e artistica, finiscono solo per essere opere incapaci di comunicare col pubblico. Per fortuna ci sono ancora registi che non dimenticano questa lezione e ci regalano film che si ispirano a quel cinema “artigianale” del passato.

Dan Mulligan, produttore musicale in caduta libera, con una figlia adolescente, un matrimonio fallito alle spalle e il vizio della bottiglia, incontra Gretta, una cantautrice inglese in panne sulla banchina della metropolitana. Arrivata a New York col fidanzato quasi celebre e la promessa di una vita da spendere insieme, Gretta perde in un baleno ragazzo e sogni. Autrice di ballate sentimentali, una sera si esibisce suo malgrado in un locale dell’East Village frequentato da Dan. Avvinto dalla sua musica, Dan le propone di lavorare insieme per riprendersi il loro posto nel mondo. Sei anni dopo “Once”, un mélo-musicale ambientato a Dublino, John Carney attraversa l’oceano e torna a raccontare una storia che intreccia musica e sentimenti, cantando l’amore ed esaltando il potere trasformativo dell’arte.

Ambientata per le vie di New York, la città cinematografica per eccellenza, luogo del sogno e dell’ideale, la pellicola ha un tono romantico e spassoso, supportato da una bella colonna sonora e dall’efficace interpretazione dei suoi protagonisti. L’inglese Keira Knightley dona delicatezza e classe alla sua Gretta, cuore infranto che trova una nuova via per ricominciare, Mark Ruffalo è perfetto nell’uomo di mezza età a cui la vita ha sbattuto tutte le porte in faccia ma che sa rialzarsi con determinazione, e Adam Levine, il cantante del gruppo Maroon5, indossa i panni (che sembrano essere cuciti apposta per lui) di una rockstar egocentrica ma in fondo fragile. Forse il tempo non regalerà a “Tutto può cambiare” lo statuto di capolavoro al pari di “Cantando sotto la pioggia”, ma certamente la pellicola di Carney ha il pregio di essere perfettamente scritta, diretta ed interpretata, coinvolgendo lo spettatore in una storia, a lieto fine, dove i sentimenti positivi vincono su tutto.