Risposta ai critici. Ovvero, il dito e la luna

La notevole sequenza di critiche che sono piovute sull’articolo di Ileana Tozzi (ma in passato è accaduto anche per altri argomenti) e sui commenti della redazione di «Frontiera» confermano almeno un fatto: il giornale diocesano garantisce la libertà di opinione e di parola e favorisce la circolazione delle idee.

Questa cosa può forse dare fastidio a persone che preferirebbero dare un taglio incolore ai fatti della Chiesa locale. Noi delle questioni preferiamo parlarne.

E se le nostre posizioni non collimano con il pensiero unico pazienza, ce ne facciamo carico. Essere minoranza non ci disturba. La critica di «due grandissime firme come Andrea Tornielli e Antonio Socci» ci è pure gradita. Peccato solo che nessuno dei due abbia visto la nostra Cattedrale prima di scrivere. Magari la visita non avrebbe evitato a Tornielli di scrivere che «Gesù nasce nella stalla di Nazaret» sulla prima pagina de «La Stampa». Considerata la buonafede di queste firme però, qualche imprecisione in merito al presepe della Cattedrale sarebbe venuta certamente meno.

Ciò detto, pare che in tutta questa vicenda si continui a discutere sul filo dell’imprecisione e dell’equivoco. Intanto i commenti dei componenti della redazione sono, in quanto tali, personali. Quand’anche tutta questa attenzione gratificasse il nostro ego, rimane un eccesso altrui farne discendere interi sistemi.

Nel merito, poi, non abbiamo inteso dire che «rimpicciolire il presepe» sia un gesto “sobrio” in quanto tale. Però neanche crediamo che il valore del presepe si trovi nella sua misura, nei materiali di cui è composto, nella pregevolezza dei simulacri. Siamo d’accordo che se è bello, è meglio (e quello di quest’anno non è affatto brutto). Nei ragionamenti di molti dei nostri critici però, pare piuttosto prevalere un’idea quantitativa, più che qualitativa, della rappresentazione della Natività. A leggere certuni si direbbe che sotto una certa soglia di complessità e trovate scenografiche la rappresentazione si faccia indegna. Qualcuno, commentando su Facebook la foto del presepe della Cattedrale, ha scritto: «quattro statuette sulle scale del presbiterio me lo chiamate presepe?». Beh, se sono le statue di Gesù Bambino, della Madonna, di San Giuseppe, del bue e dell’asino come si dovrebbe chiamare?

Ci si è tanto richiamati a San Francesco nei commenti, forse non sempre a proposito. Saremo blasfemi, ma crediamo di non mancare di molto il bersaglio ipotizzando che Francesco non pensasse neanche lontanamente che la sua invenzione sarebbe durata tanto. Con tutta probabilità non si poneva neanche il problema. È più verosimile che gli premesse comunicare qualcosa alla sua gente. Con l’invenzione del presepe (vivente) trovò un linguaggio adatto al proprio tempo.

Le scelte attorno alla rappresentazione della natività nella Cattedrale di Rieti, a loro volta, ci sono sembrate il tentativo di dire qualcosa agli abitatori del presente. Si è provato a guardare con senso critico alla superfetazione degli armamentari da presepe, ma non per dire che sono un male in sé. Piuttosto, nella scelta di farne a meno, abbiamo letto la critica ad uno stile di vita, ad un modo di stare al mondo. Quello che lega ogni forma di felicità e salvezza agli oggetti, alle cose, agli usi, proprio in barba ad un Dio che, incarnandosi, altera definitivamente il senso e i valori del mondo. Sul nostro (o su qualche altro forum) siamo stati rimproverati di non intendere come Cristo nasca uomo tra gli uomini, immerso nelle cose, con tutto ciò che ne consegue. In redazione lo sappiamo e lo comprendiamo bene, assieme a tutti gli altri significati che il presepe (anche quello “sobrio” della Cattedrale) testimonia.

Ci pare, piuttosto, che invece di guardare la luna si continui a vedere solo il dito che la indica. La critica non è alle cose, ma al modo con cui ci rapportiamo con esse. Di conseguenza, accanto a tanto “ben altrismo” senza idee, non ha senso lanciarci anatemi o dire, come ha fatto qualcuno: «allora togliamo anche questo, quello e quell’altro» (opere d’arte, crocefissi, altari ecc.). L’invito che abbiamo colto non è a fare a meno di tutto, men che mai a quanto rende “chiesa” una chiesa (e “presepe” un presepe). Il consiglio, se lo si vuole ascoltare, va riportato nel quotidiano. Ci è parso una esortazione a soppesare le cose con un metro diverso, a riflettere sul necessario e sul superfluo.

Un tentativo critico in questa direzione ha maggiore forza se si esercita su qualcosa di centrale, qualcosa talmente consolidato nell’uso che dà scandalo se si prova, pure rispettosamente, a metterci mano. È appunto quanto accaduto (ma tanto clamore è davvero involontario) con il presepe. È in questo senso che abbiamo detto che la scelta è stata più azzeccata di altre. Si può continuare ad essere in disaccordo e dire che si è sbagliato, ci mancherebbe! Quanto agli insulti di alcuni, offendono la loro stessa intelligenza più di quanto non facciano con chi ha promosso e condiviso le scelte fatte in Cattedrale.

Forse, con tutte le proporzioni e i distinguo del caso, la faccenda replica un po’ le polemiche attorno all’oro di Sant’Antonio. (Una storia che probabilmente Antonio Socci non conosce, nonostante sia pronto a ricamare sulla performance nel giugno antoniano del “Duo di Pikke”. Ovviamente può chiedere lumi ai suoi informatori).

Anche in quel caso si è gridato allo scandalo di fronte al desiderio del vescovo di vedere il simulacro del francescano vestito solo del suo semplice saio, senza il soffocante intreccio di ori con cui viene esposto e portato in processione.

Due anni fa, alla proposta di mons. Lucarelli, nella chiesa di San Francesco si sentì solo un gran gelo e un sottofondo di mugugni. L’anno scorso, ripreso il tema durante la benedizione, dopo la processione, gli applausi hanno sommerso le proteste. Non sappiamo dire se con l’occasione del bicentenario della Pia Unione di Sant’Antonio di Padova il vescovo avrà la soddisfazione e la gioia di vedere esaudito il suo desiderio. Ma di sicuro il clima attorno al tema è cambiato, probabilmente in meglio.

Forse lo stesso accadrà con questa tempesta in un bicchier d’acqua del presepe. Intanto crediamo giusto difendere il modo in cui mons. Lucarelli ha pensato di farlo realizzare per quest’anno. Quali che siano le ragioni che lo muovono, sappiamo che il vescovo agisce sempre “per”, e mai contro. Non si può dire proprio lo stesso di alcuni commentatori.

6 thoughts on “Risposta ai critici. Ovvero, il dito e la luna”

  1. marco tarquini

    vedo che ancora si insiste nel cercare una giustificazione plausibile alle tante critiche… ma cascioli, tornielli e socci non vi bastano? il problema non è se il presepe sta sui gradini invece di stare nella cappella di s caterina con tutta la classica scenografia, ma in quello che si è scritto per trovare una motivazione teologica e pastorale a questa scelta. voglio dire il vescovo, in quanto tale e come parroco della cattedrale, il presepe può farlo realizzare dove e come vuole. se non si fosse scritto niente, limitandosi a dare una semplice spiegazione sulla scelta fatta alle persone che lo chiedevano non si sarebbe alzato nessun coro di critiche. il problema, cara redazione, sono le espressioni che sono state scritte come: “scelta di sobrietà”, “i fedeli entrando in cattedrale ascolteranno la Parola”, “l’assenza vale più della presenza” ecc… sono queste le frasi che hanno creato lo scandalo e hanno turbato l’animo di tanti fedeli, compreso quello di personaggi importanti come cascioli, tornielli e socci. mi dispiace ma con queste espressioni vi siete tirata la zappa sui piedi e per di più l’avete tirata sul povero vescovo che come primo responsabile è maggiormente chiamato in causa… quindi credo che la cosa migliore sarebbe fare delle pubbliche scuse per aver offeso la sensibilità e la fede di chi ancora di sente parte della chiesa cattolica romana, fatta anche di devozione al presepe, classico e scenografico o semplice che sia…

  2. serena

    scusate tanto, ma credo che questa scelta fatta in buona fede dal Vostro Vescovo sia alquanto discutibile. Il presepe storico, dato che l’avete da tanti anni, credo sia stato ammortizzato già da tempo come costo. Siccome è il presepe storico non rappresenta solo la scena della natività, ma anche la storia della vostra comunità cristiana (seppure implicitamente). Quindi non vedo il motivo per toglierlo… E, proprio in un tempo in cui tutti son obbligati a scelte di magra, un po’ di bellezza e calore almeno nella Casa di Dio sia una soddisfazione umanissima e santa per ogni cristiano, specie per i più poveri che non possono permettersi di pagare per mostre d’arte e concerti. L’unica arte di livello che è disponibile gratuitamente sempre è quella che offre la Casa di Dio, quantomeno pensateci. Se no mi dovreste spiegare come mai, nel medioevo, quando la gente aveva a stento di che sfamarsi, si son costruite con il contributo volontario di tutto il popolo le magnifiche cattedrali che ancora abbelliscono il nostro continente. Il messaggio cristiano non è solo verbale, razionale… ci vuole anche la parte affettiva, simbolica, veicolata dall’arte, dalla musica, dalla poesia, quel linguaggio che tutti comprendono, anche i bimbi, le persone semplici, le persone non istruite… Attenti che a rinunciare alla bellezza e alla storia, si rischia di escludere i più piccoli e si lascia fuori anche Gesù, e si resta soli con i propri bei discorsi…
    un fraterno saluto.
    serena

  3. Piergiorgio

    Se è vero quanto affermate: “l’assenza vale più della presenza”, il consiglio che dò al vostro ‘giornale diocesano’ on line è di ‘sparire’.
    Nessuno si accorgerebbe della vostra assenza-presenza. E inoltre si limiterebbero di molto i danni che ‘colposamente’ fate tra il popolo cristiano.
    Sicuramente quella di ‘sparire’, sarebbe un’apprezzabile ‘scelta di sobrietà’, come la chiamate voi.
    E’ evidente che le vostre sono ‘posizioni’ del tutto non condivisibili, dettate solo da spirito di provocazione ed anche di natura eretica.
    Vergogna!
    La cosa migliore che potevate scrivere era molto più semplice dei giri di parole che fate nell’articolo.
    Sarebbe stato sufficiente scrivere: “Chiediamo scusa!”.
    Non si può difendere l’indifendibile …

  4. Antonio Freddi

    E’ incredible sentire il rumore delle vostre unghie sul vetro.
    Siete oltre ogni limite di decenza. Vergogna.

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