Rieti, Medioevo prossimo e venturo

Quante volte lamentiamo di essere ancora nel Medioevo? Quando magari sbottiamo per le cose che non funzionano, o davanti ai pensieri ostili della gente. E dire che i «secoli bui», a Rieti e non solo, sono da annoverare tra i tempi più ricchi e luminosi

Quante volte lamentiamo di essere ancora nel Medioevo? Quando magari sbottiamo per le cose che non funzionano, o davanti ai pensieri ostili della gente. Lo diciamo per rabbia, crudeltà o paradosso. Pensiamo l’evo di mezzo nel senso di mediocre, o seguendo l’idea dei secoli bui, degli anni oscuri.

In certi casi quasi funziona: nel Medioevo la gente era abituata a gettare i rifiuti in strada, aspettando che la pioggia e i maiali ripulissero; certe scene ai margini delle nostre strade ci fanno pensare che le cose non sono poi cambiate di molto. Lo stesso vale per i rapporti sociali: nel Medioevo, c’era il signore, che attorniato dai sodali soggiogava i contadini; ma anche nel mondo di oggi – spiega l’Ofxfam – l’1% più ricco sovrasta il restante 99%. Andiamo senz’altro un po’ meglio dal punto di vista dell’istruzione: nel presente le persone che sanno leggere e scrivere sono senz’altro di più di qualche secolo addietro. Ciò nonostante i “terrapiattisti” si diffondono e fanno proseliti. Poco importa se nel frattempo il nostro pianeta l’abbiamo visto tondo e blu dalla Luna. La scienza e la tecnica non sembrano averci migliorato di molto. L’uso cretino di una tecnologia straordinaria come la rete internet lo dimostra ogni momento.

E poi anche il Medioevo è stato un tempo fecondo, ricco di pensiero e invenzioni. In questo senso Rieti è davvero rimasta a quegli anni. Perché è nel ‘200 che la città assume l’assetto attuale. A dispetto dei «secoli bui», quei tempi sono da annoverare tra i più ricchi e luminosi.
Vale la pena ricordarlo nel mezzo di questo Giugno Antoniano. Anche se non ci pensiamo abbastanza, pure sant’Antonio era un uomo del Medioevo. Come il suo maestro Francesco, che tanto in profondità ha segnato la spiritualità della valle. Come il contemporaneo san Domenico, la cui canonizzazione a Rieti è ricordata ogni anno da una speciale rievocazione storica. Fede cristiana e Medioevo sono due categorie che meglio di altre ci permettono di descrivere e decifrare il contesto che abitiamo. In questo senso, il tradizionale mese di festa a cavallo tra la primavera e l’estate riesce particolarmente prezioso. Specie se riusciamo a riconoscerlo abbracciato dal Cammino di Francesco. Un circuito che va sempre tenuto presente, al quale occorre rivolgere cura e attenzione. In senso materiale, ma anche di pensiero, perché si presta a più livelli di lettura: storica, naturalistica, spirituale.

Proprio come la Processione dei Ceri, che con il Cammino non condivide solo l’uso dei piedi, ma anche l’attraversamento delle tracce francescane. Non quelle dei santuari nella Valle Santa, ovviamente, ma quelle della città. Uno spazio fisico del quale reimparare a cogliere il significato culturale e spirituale, per poterlo abitare in modo appropriato.

Il Giugno Antoniano andrebbe poi letto nel contesto delle altre iniziative nate dalla stessa spiritualità, come sono il Festival Francescano di ottobre o la Valle del Primo Presepe. Quest’ultima, pur trovando il suo vertice a dicembre, vive tutto l’anno e invita a cogliere il fatto decisivo: il gesto di san Francesco che nel 1223, a Greccio, mette al centro della scena l’Incarnazione nella sua nuda realtà. Fu così che il Poverello rischiarò per davvero il Medioevo, illuminandolo con un’immagine di Dio inedita, originale, potente.

Ci muoviamo verso gli 800 anni da quel momento straordinario e l’attesa del 2023 dovrebbe essere vissuta nella riscoperta di quanto è accaduto sulle rocce in cui oggi affondano le fondamenta del santuario. C’è da arrivare preparati a un anniversario sul quale si può costruire molto. Perché è la ricorrenza di un doppio snodo: della fede e della politica. In tempo di crociate, Francesco disarmava le coscienze, afferma che non occorre riconquistare la Terra Santa, smentisce la violenza esercitata in nome di Dio. Cose di cui nel Medioevo attuale, e forse venturo, si torna a sentire un certo bisogno.