Rieti, resurrezione e legge di Murphy

Arriva la Pasqua, e anche la città sembra in cerca di una qualche resurrezione. Per la verità lo è da molto, moltissimo tempo. Ma sempre invano. Né si intravede ancora la volta buona.

Al malessere industriale, infatti, si sono affiancati il precariato che gira attorno alla pubblica amministrazione, il commercio che non tira, l’edilizia che annaspa. Per tanti la povertà si fa più acuta. Ma elencare ancora una volta le realtà in difficoltà non serve. Sono tutte cose che, se non si vivono, si apprendono facilmente dalle cronache. I quotidiani sono costretti a rilanciarle ogni giorno.

Ma i segnali del declino sono anche altri. Il disordine urbano, per esempio. Forse da qualche tempo il centro è più curato, ma il degrado riemerge prepotente appena fuori le mura. Basta un’occhiata ai poveri parchi pubblici per togliersi ogni dubbio. Ma in fondo non c’è da stupirsi. Anche in altri campi, dal Comune, arrivano più delusioni che soddisfazioni.

Il via libera al cantiere del nuovo Alberghiero, ad esempio. Se davvero si farà, sarà in un’area a dir poco problematica. E un tale accanimento solleva non pochi dubbi sui motivi di questa scelta.

Soprattutto da quando il Consiglio ha dimostrato di saper dire anche di no. È il caso del progetto di recupero dello Zuccherificio presentato da Coop Centro Italia. L’opposizione al piano della cooperativa ci sembra tutt’altro che irragionevole. È un peccato, però, che si continui a volare basso. Infatti siamo ancora al «meglio non fare niente che fare male». È già qualcosa, ma una controproposta credibile sarebbe un argomento migliore.

Se non altro perché sarebbe arrivata a sorpresa, avrebbe messo sul tavolo un argomento nuovo. Ma forse è inutile sperarci. Anche di fronte a qualche accenno di dibattito, le cose vanno sempre nella direzione più scontata. Di solito è la peggiore, forse per una implicita e ostinata osservanza della legge di Murphy. «Se qualcosa può andar male, andrà male» recita il primo assioma, e i corollari completano il quadro.

Ma seppure fosse vero non diamoci per vinti. Non sarà il migliore dei mondi possibili, ma qualche punto a nostro favore lo possiamo ancora segnare. Ad esempio potremmo riguadagnare un po’ di amor proprio coltivando un atteggiamento più prudente verso le mode. Infatti risultiamo fin troppo solleciti ad adottarle senza filtro. Qualunque novità, foss’anche la proposta più pacchiana, sgarbata o villana, incontra subito un immotivato entusiasmo.

Sarà pure felicità e voglia di vivere, ma un conto è cavalcare l’onda, un altro è farsene travolgere. Il dubbio è che questo conformismo abituale sia l’anticamera dell’indifferenza, l’apripista del nostro disagio. Forse, allora, sarebbe meglio prendere le distanze dal «così fan tutti». Ci potremmo riguadagnare un qualche senso critico e la voglia di intraprendere un percorso originale.

In fondo la resurrezione è un fatto inedito, sconvolgente, imprevedibile. Rompe gli schemi e i luoghi comuni. E date le premesse varrebbe la pena di tentare.

Anche perché i sentieri battuti finora non sembrano averci portato fuori dalla zona morta! A voler essere indulgenti sembriamo ancora costretti nell’ascensore che porta agli inferi.

E di lì non si esce mai uguali a come si era entrati.