Rieti, la Ditta e la partecipazione

Negli ultimi giorni l’Amministrazione comunale parrebbe attraversare uno dei tanti periodi poco felici. A fare un elenco grossolano si potrebbero citare il “rapporto Iovinella” sullo stato dell’ente, un Consiglio Comunale convocato ma non celebrato perché la maggioranza ha fatto mancare il numero legale, la bagarre sul caso dei bambini rimandati a casa dall’asilo perché in carenza di personale, una lettera dei tre dirigenti superstiti che denunciano “una patologica disfunzione organizzativa ormai insostenibile”.

A questo si aggiunge quello che è sotto gli occhi di tutti e che oramai è quasi moda denunciare: difficoltà e ritardi nelle manutenzioni, conseguente sporcizia e degrado, un procedere a fatica tale da rendere degna di comunicato stampa la pulizia delle caditoie, la rimozione delle foglie, il taglio dell’erba.

Sono tutte situazioni a misura di social, e su Facebook si possono seguire lunghi tread di polemica. Non mancano neppure i dotti commenti di amministratori e dirigenti della vecchia guardia e di qualche intellettuale di corte: a leggerli sembra di assistere alla famosa scena nella quale il bue dà del cornuto all’asino. Intendiamoci: si può certamente dire, come in tanti fanno, che l’Amministrazione è incapace, che la maggioranza non c’è più, che è tutto uno schifo. Magari è pure vero.

Viene però da chiedersi se questa confusione, questo affanno, questo sgretolamento, in fondo non rispecchino semplicemente la condizione della città, lo stato d’animo di una cittadinanza confusa, belligerante, intimamente contrapposta e forse, in fondo, scontenta di sé, di quello che è, di come negli anni ha sistemato le cose e le persone.

Hai voglia a cercare l’uomo forte, capace con il proprio carisma di raddrizzare il destino della città. Chi si presenta in questo modo al poco elettorato rimasto pecca di presunzione e non poco. Il problema della “polis” non si può ridurre a cosa fanno o non fanno i pochi che siedono o siederanno nel Consiglio comunale, che compongono o comporranno la Giunta.

Il che ovviamente non vuol dire che questi organi di governo non contino o non possano fare meglio. Il punto è che difficilmente ci riusciranno da soli.

Smettere di sostenere che ogni disfunzione, ogni errore, ogni debolezza siano una strumentalizzazione o una mistificazione, ad esempio, sarebbe già un passo avanti. Certo, ci vogliono orgoglio e coraggio per cercare di tenere insieme quest’armata Brancaleone di città, ammettere gli sbagli quando si fanno, però, non è segno di debolezza, ma di onesta ed umiltà.

Insieme all’esercizio di queste piccole virtù occorrerebbe dare davvero vita alla partecipazione annunciata all’inizio. Che le fazioni interne alla maggioranza si parlino e vadano o meno d’accordo è quasi irrilevante se a parlarsi, a sentirsi coinvolti e a cercare un’intesa non sono prima i cittadini.

L’esigenza che si sente nell’aria è quella di smetterla una volta per tutte di fare della politica una faccenda da Palazzo. Il tentativo di governare continuando a cercare accordi tra partiti e liste civiche ad personam è destinato al fallimento. Sono fazioni che oramai non rappresentano niente: né ideologie, né gruppi sociali. Tuttalpiù hanno dietro qualche piccolo interesse. Difficile che abbiano davvero la forza per incidere positivamente sulla realtà generale.

Sbaglieremo, ma a noi pare che amministrare voglia oggi dire un’altra cosa: avere il coraggio di farsi costruttori di ponti, essere fornitori di occasioni di incontro tra i cittadini, mettersi in ascolto dei dibattiti rinunciando ad un fastidioso senso di sufficienza e di paternalismo, farsi garanti di sintesi che smettano di guardare agli interessi della Bottega o della Ditta. La voglia di partecipare non manca: qualcuno cavalcandola ci ha vinto le elezioni. Gli conviene deluderla ancora?