Rieti: la cultura come modo di stare al mondo

Abbiamo incontrato Antonio Sacco quale responsabile delle comunicazioni per l’Officina dell’Arte di Rieti in occasione della riuscita Settimana della Cultura organizzata per dar seguito agli stimoli del Ministero dei Beni Culturali.

Antonio, la settimana della Cultura all’Officina dell’Arte è stata un notevole successo…

Siamo sicuramente molto soddisfatti dei risultati. I locali dell’ex Piaggio, dove è organizzata l’Officina sono stati piacevolmente abitati da persone e pensieri tutt’altro che banali. A dispetto di chi insiste nel dire che Rieti è una città morta, abbiamo fatto esperienza di una vivacità che per la verità sospettavamo. Il problema è che al momento abita la città in modo frammentario, ed emerge solo a tratti, come una sorta di fiume carsico.

Organizzare una intera settimana di eventi tenendo alta la qualità deve aver richiesto molto impegno…

È così, ma non è stato troppo difficile. Forse perché abbiamo scelto un percorso poco usato. Nella nostra città siamo abituati a iniziative spot, talvolta pregevoli, ma che traggono sostanza da fuori le mura e sopravvivono grazie ad un forte supporto istituzionale. Sono scelte che possono anche riempire certi vuoti, ma non lasciano nulla di concreto e non aiutano la città a crescere. Noi abbiamo preferito puntare sulla cultura locale. Piuttosto che scegliere la facilità dei grandi nomi, abbiamo fatto una proposta di tipo orizzontale, che evita un rapporto di soggezione tra artista e spettatore e favorisce l’incontro e la partecipazione tra chi propone e chi fruisce. Ci piace pensare all’Officina dell’Arte come il luogo di una opportunità popolare, dove è possibile testimoniare un utile recupero del “saper fare”.

La scelta di soli protagonisti locali è significativa, spesso ci sottovalutiamo?

Sì, ci sottovalutiamo e siamo anche sottovalutati. Snobbare questo territorio a livello culturale corrisponde al volerlo deprimere a livello sociale e umano. È un male perché spinge giovani e meno giovani a non credere nel valore del luogo in cui si è nati. Ci si convince di essere sconfitti a priori. Il fatto che un atteggiamento così negativo sia molto diffuso fa sospettare che torni comodo a qualcuno. Diffondere una idea della disfatta e della dipendenza, lascia ampi margini di condizionamento, materiale e intellettuale. Se si vuole stare al mondo conviene scrollarsi di dosso queste tare. Le risposte vere si possono scoprire solo se si presta ascolto a quello che spontaneamente una città riesce a dare. Si tratta, in fondo, delle uniche risposte autentiche. Ogni altra istanza è al servizio di qualcosa di estraneo.

Il senso della settimana è quello di voler gettare un seme?

Sì, e siamo convinti che il terreno sia fertile. In questi anni abbiamo vissuto una sorta di desertificazione, ma non dobbiamo lasciarci trarre in inganno. Appena sotto la sabbia, tolta la polvere, le potenzialità ci sono ancora tutte. Rieti ha avuto in passato una forte vivacità e identità culturale. Poi è come divampato un incendio, che ha mangiato tutto quanto di autonomo e bello si muoveva in città, e l’ha resa uno spazio squalificato e senza identità. Una distruzione che ha persuaso tanti a credere che la cultura si possa intendere solo come un qualcosa da importare. Ma sotto la cenere di anni di incuria e assoggettamento c’è ancora un terreno pronto a far ricrescere proposte ed esperienze ricche. Bisogna però irrigarlo con opportunità e stimoli. In questo sono state preziose le ragazze che curano le attività dell’Officina. Tiziana, Silvia, Caterina e Roberta hanno colto a pieno un bisogno della città cui hanno saputo dare voce.

Quindi cos’è la cultura?

Mi ricordo, anni fa, di come la città fosse attraversata da uomini curiosi e pieni di personalità. Mi ricordo ad esempio di pittori che dipingevano dal vero in strada gli scorci più significativi di vicoli e piazze. Oggi i loro quadri non sono certo ospitati da importanti gallerie e collezioni, e non è questo che importa. Quello che voglio dire è che la cultura è il modo in cui stiamo al mondo. Non dobbiamo confondere le espressioni culturali con la cultura. I pittori della Rieti di pochi anni fa, come pure i musicisti e i teatranti, forse non hanno dato capolavori, ma erano l’aspetto visibile dell’anima della città. Un’anima che anche nel grigiore di oggi non è ancora persa. Credere in Rieti oggi vuol dire ritrovare e dare spazio a queste voci. Ragionare di cultura non può che essere un ragionare di noi, di cosa siano, di come ci relazioniamo con il mondo. La cultura siamo tutti noi, nessuno escluso. Lontano da questa prospettiva c’è solo un vuoto intrattenimento.