Rieti e l’inferno dei Neet

Proviamo a fare una domanda ad un ragazzo sui 30 o giù di lì. «Cos’è per te l’inferno?» Con tutta probabilità, risponderebbe: «Per me l’inferno è essere senza lavoro». Come dargli torto? Mala tempora currunt.

Uno studio dell’Istat appena pubblicato, racconta di un’Italia con un tasso di disoccupazione record: senza lavoro (e senza futuro) è il 42% dei giovani. La percentuale è praticamente raddoppiata dal 2007 e peggio dell’Italia starebbero solo la Grecia, la Spagna ed il Portogallo.

Il quadro risulta ancor più drammatico se si considera che in Italia inizia ad esistere ed a prendere sempre più piede la categoria dei Neet: secondo un rapporto realizzato dai ricercatori dello staff statistica, studi e ricerche sul mercato del lavoro di Italia Lavoro, esiste una notevole quota della popolazione giovanile tra 15 e 30 anni che non studia e non partecipa più a un percorso di formazione, ma non è neppure impegnata in un’attività lavorativa né attivamente nella ricerca di quest’ultima (Not in Education, Employment or Training – NEET).

In Italia mediamente un giovane su cinque non studia e non lavora e la quota di giovani Neet italiani risulta essere la più alta fra i paesi Europei.

E a Rieti? Sulla nostra città non abbiamo statistiche che ci possano venire in soccorso, ma ne conosciamo bene la situazione per averla tutti i giorni sotto agli occhi. Cerchiamo di ricostruire il quadro.

C’è un depauperamento del territorio frutto di anni di scelte amministrative e politiche sbagliate. Certe previsioni sullo sviluppo degli anni 60-90, sono state ampiamente sbagliate.

Ci si aspettava di raggiungere gli 80-100 mila abitanti nel 2000, mentre invece non siamo che alla metà; sono tante le persone attive e preparate che studiano e lavorano fuori dalla città.

Abitiamo in un comune dissestato all’interno di una Provincia commissariata.

La nostra crisi economica è forse più profonda che altrove per l’oggettiva incapacità di rilancio del nostro territorio. Tutto sembra fermo: zero proteste, zero prospettive di ripresa, zero di tutto.

Siamo lontani dai tempi in cui la classifica de «Il Sole 24 Ore» per la qualità della vita vedeva la città di Rieti tra le prime posizioni.

Come criticare la scelta di molti giovani che decidono di abbandonare la terra natia? Sarebbe meglio restare nell’oblio o addirittura, come ultima spiaggia, diventare dei Neet?

Eppure la soluzione potrebbe venire dalla stessa materia prima che abbandona il territorio: il materiale umano, specie quello di giovane età. Ad esso, dovrebbe essere concessa la possibilità di radicarsi nel contesto disastrato, facendo di necessità di virtù, per produrre attraverso la propria mente reattiva una alternativa al not in education, employment or training.

Che l’inattività però non diventi, a causa della mancanza di prospettive, una giustificazione a non fare. Chi resta, non può condannarsi a stare fermo, all’abbandono delle prospettive che il contesto intorno gli impone. Per questo, un consiglio ai più giovani: essere propositivi, lanciare propri progetti, prendersene cura, vederli crescere e portarli avanti, al di là della avversità della situazione di contesto se necessario, rilanciarsi, investire sulla propria formazione qualora si sia nei tempi morti della mancata occupazione. E soprattutto, mai arrendersi al mostro della inattività.

Silvia RossiElisa Agnesi