Rieti: dov’è la testa?

Dove sta la testa di Rieti? Chi e dove decide il suo presente e soprattutto il suo futuro? Esiste un luogo – fisico o ideale – dove la città riflette sulla propria identità di comunità e di casa per i suoi 45mila e più abitanti?

Non c’è, o se c’è è invisibile. Peggio ancora è nascosto.

Proviamo a cercare fra le pagine dei suoi giornali. Tolti necrologi e cronaca quotidiana, troveremo profluvi di reverenze ben sponsorizzate alla suprema Fondazione, battaglie provincialissime per premi Nobel a progetto, calendari parrocchiali.

Fra un annuncio di concessionari e uno di palazzinari, potremmo passare ore, giorni, settimane alla ricerca di una qualche riflessione sulla salute sociale e culturale che ci si aspetterebbe da una città del XXI secolo.

Nulla. Non c’è traccia di analisi, non c’è ombra di progetto, non c’è alito di discussione, non c’è eco di confronto. Non sui quotidiani secolari, tantomeno sui patinatissimi e pettinatissimi free-press in cui la gente reatina pare amare specchiarsi.

E fuori dalle pagine? Potremmo tuffarci nell’impetuoso scorrere delle infinite iniziative delle innumerevoli associazioni della città, fra amici dei musei che non ci sono, pedalando in bici o rincorrendo un pallone. E cosa troveremmo?

Ammirevoli percorsi individuali di valorizzazione del proprio specifico. Orticelli. Che ognuno coltiva per sé. Rassegne anche molto interessanti, iniziative encomiabili e indispensabili, ma il cui senso, alla lunga, sfugge se non si definisce un orizzonte, un campo di gioco.

Di quale città stiamo parlando? A quale futuro vogliamo arrivare? In quale comunità vogliamo vivere? L’eterno presente delle tante realtà associative reatine che guardano al passato perché i tempi andati sono sempre “meglio”? Il presente continuo di quelle che guardano al “nuovo” perché è nuovo? Possono bastare a dare un senso di progettualità del futuro? Di determinazione ai destini di Rieti?

Tutti questi coltivatori diretti dei propri specifici ambiti non parlano mai agli altri coltivatori, anzi. Spesso ignorano che ci sia qualcosa d’altri. Che discussione e confronto volete che ne nascano?

Certo, c’è il consumo. Quello culturale al pari di quello alimentare. Si va a teatro come al centro commerciale, all’orrenda mostra sotto i portici del Comune come al Mercatone e al Globo.

È possibile che Rieti non sappia trovare un luogo e un tempo per ragionare su quello che fa e soprattutto su quello che non fa?

È possibile che i destini di un’intera comunità siano lasciati nelle mani di immobiliaristi speculatori, industriali pronti a spostare le terga e gli impianti dove rende di più, politici improvvisati e intellettuali da riporto?

Ma forse sbagliamo grossolanamente. Forse siamo noi semplicemente estranei ai luoghi giusti, esclusi dai circuiti che contano. Forse le riflessioni si fanno eccome, però quelli come noi non sono ammessi. Per lignaggio, censo, frequentazioni, aspetto, decenza o reddito. Possibile.

Questa è la città dove la figura dell’intellettuale, dell’artista, dello studioso ha un che di polveroso, pittoresco, comunque innocuo. Lo tieni da qualche parte, lo tiri fuori nelle occasioni giuste, applaudi ai suoi incomprensibili discorsi e poi lo rimetti nella dispensa. Come un vecchio cappello, un orologio d’epoca, un libro rilegato a mano. Quali sono le intelligenze reatine che non si limitano a vivere fra scaffali, sulle sudate carte o nei ricordi?

In mezzo al solito buco dei trenta-quarantenni troppo presi dai mutui per guardarsi intorno, ci pare che il nostro tempo sia contrassegnato da un’emergenza culturale, antropologica, economica. Dunque politica.

In condizioni di degrado della convivenza civile, di apocalisse linguistica, di limitazioni sempre meno striscianti alla libertà d’espressione, già messa concretamente a repentaglio da concentrazioni editoriali e conflitti d’interesse, aprire uno spazio di intervento e di critica privo di condizionamenti costituisce già, di per sé, un gesto di contestazione e rivolta.

Mettere di nuovo a disposizione dei cittadini un servizio di pronto intervento culturale, tempestivo nei confronti del presente – e dunque delle contraddizioni, delle disavventure prossime venture – non significa altro che scommettere, con ostinazione ed entusiasmo, sul valore inattuale dell’intelligenza.