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RiData, Pagnoncelli: «Togliamoci le lenti pessimiste e puntiamo sulle nostre tante potenzialità»

Il noto sondaggista ha presentato e illustrato alla città l’indagine «Italia 2019 Comunitari e Cosmopoliti, le nuove fratture», da poco pubblicata dalla società di demoscopica Ipsos Italia, presente in 89 Paesi e con all'attivo solo in Italia 800 ricerche all'anno

Si dice «grato e onorato» di essere a Rieti Nando Pagnoncelli, aprendo l’incontro voluto dalla Diocesi per presentare il progetto RiData, che prevede la costituzione di un osservatorio utile alla raccolta e all’elaborazione dei dati sulla realtà locale.

In un Auditorium Varrone pieno, dopo una breve introduzione del vescovo Domenico, il noto sondaggista ha presentato e illustrato alla città l’indagine «Italia 2019 Comunitari e Cosmopoliti, le nuove fratture», da poco pubblicata dalla società di demoscopica Ipsos Italia, presente in 89 Paesi e con all’attivo solo in Italia 800 ricerche all’anno che consentono di «indagare sulla società e sui comportamenti dei cittadini con l’obiettivo di anticipare le tendenze, dal punto di vista sociale, economico, culturale».

Un’indagine utile per «aiutare la città e il Paese a conoscersi meglio, e provare a dare una lettura del clima che stiamo vivendo in questo momento in Italia. Siamo nel pieno di una fase di disorientamento, di difficoltà di comprensione. Il nostro clima economico certamente vive una situazione non positiva, siamo usciti dalla fase di crisi più acuta, ma siamo comunque in una fase complicata, ci troviamo ad affrontare una nuova stagione che servirà a riconquistare il terreno perduto».

Tra le preoccupazioni che attanagliano i nostri connazionali, la prima è sicuramente quella occupazionale, segnalata da 4 italiani su 5: «Dai dati emerge un aumento dei contratti di lavoro, ma sono in maggioranza contratti a termine. Un dato molto rilevante che illustra come in Italia sia del tutto cambiata la tipologia di lavoro, con la precarietà che attanaglia soprattuto le nuove generazioni. Eppure accanto al tema occupazionale preoccupante emerge un dato positivo: la virtuosità degli italiani, che tendono ad indebitarsi meno dei cittadini di altri Paesi, mettendo da parte ciò che possono».

C’è l’Italia delle piccole e medie imprese che non cresce, ma dall’altro lato ci sono le aziende che esportano in tutto il mondo e incrementano in maniera consistente il Pil. «Possiamo definirci in una fase di stallo – afferma Pagnoncelli – non possiamo dirci usciti definitivamente dalla crisi ma neppure considerare la situazione del nostro Paese drammatica. Gli italiani non si aspettano un grande cambiamento positivo rispetto alla propria situazione personale e familiare, nè in bene, nè in male».

In generale, il Paese sta andando nella situazione giusta o in quella sbagliata?

«Ci poniamo questa domanda in linea mdi massima ad ogni tornata elettorale, e ad ogni stagione politica si tende a pensare che le cose vadano meglio. Opinioni basate non su dati scientifici ma su percezioni personali, che comunque condizionano lo stile di vita di ognuno. Dal punto di vita sociale, dopo economia e lavoro crescono enormemente le tematiche relative all’ambiente e alla mobilità».

Per quanto riguarda la qualità della vita, il quadro reso dalle opinioni degli italiani è alquanto singolare: «2 italiani su 3 esprimono un dato positivo sulla qualità della vita della zona in cui vivono, eppure il dato è negativo sul panorama nazionale: come se il dato dell’insicurezza fosse valido solo per il Paese e non per le città. In generale però, prevale l’opinione che la qualità della vita sia peggiorata rispetto agli anni passati».

Pagnoncelli illustra un’Italia impantanata in meccanismi annosi, spesso deviati da percezioni personali non rispondenti alla realtà dei fatti, «come fossimo prigionieri di una nostalgia caratteriale, convinti che la nostra stagione migliore sia sempre quella già vissuta in passato. Eppure, abbiamo straordinarie possibilità rispetto a quelle che avevano i nostri nonni, non abbiamo mai vissuto una stagione così florida dal punto di vista della tecnica, della scienza, della medicina, eppure vediamo tutto attraverso lenti pessimiste».

Oltre all’attitudine all’incartarsi in meccanismi nostalgici e negativi, l’italiano tende anche ad amplificare alcuni fenomeni, ingigantendo i dati dei problemi più sentiti: «In Italia abbiamo l’attitudine a dilatare la percezione di alcune tematiche, trasformandole in problemi sociali, anche se i dati dimostrano il contrario. Capita ad esempio con l’allarmismo sugli stranieri, una percezione che non risponde alla realtà, come anche sul dato dell’immigrazione che non è affatto preoccupante come si vuol far credere. I dati vengono ingigantiti, basti pensare a quelli degli omicidi – diminuiti a meno della metà rispetto agli altri anni – , che secondo gli italiani sono addirittura aumentati, oppure al particolare dato della fetta di diabetici presenti nella popolazione, che a dire degli italiani sono un numero infinitamente maggiore di quello che dicono i dati sanitari».

Una tendenza tutta italiana ad aumentare i fenomeni, soprattutto quelli ci preoccupano di più. «Addirittura moltissimi italiani considerano la nostra situazione economica al pari della Grecia, quasi sull’orlo del baratro, mentre invece il Pil della Grecia è equivalente a quello della sola Lombardia! Stessa cosa con i fenomeni migratori, già consistentemente diminuiti con l’operato del ministro Minniti, eppure considerati più gravi adesso. Ci troviamo dunque in una sorta di realtà su misura perché il cittadino non accetta spesso di confrontarsi con altre fonti informative, preferisce restare saldo nelle sue convinzioni, pur sbagliate».

Paradossalmente, la qualità dell’informazione è deviata e condizionata dalla moltiplicazione di fonti informative: «Internet è una straordinaria opportunità di informazione, ma proprio grazie a questa infinita verietà di fonti informative i cittadini incappano in maggiori difficoltà di discernimento. A ciò si unisce il proliferare di fake news, le deviazioni propagandistiche e gli algoritmi elettorali o commerciali che condizionano l’informazione e le tematiche che ottengono più click.»

Assistiamo dunque a una sorta di banalizzazione dell’informazione, con la tendenza a riunire le situazioni e le tematiche in grandi blocchi unici, non differenziati: «Accade per esempio con il fenomeno del populismo di cui tanto si dibatte, come se popolo e élite fossero due blocchi separati e distinti: considerarli un’unica totalità è invece un errore, una comunità è divisa in vari strati, e presenta minoranze, diversità e posizioni diverse».

Siamo dunque, secondo Nando Pagnoncelli, «davanti a nuovi paradigmi e nuove fratture».

Non di poco conto, il forte processo di individualizzazione del Paese, «un dato molto rilevante e ben visibile non solo nel rapporto tra cittadini e istituzioni, ma trasversale in tutto. Basti pensare solo al fenomeno sempre crescente dell’e-commerce, una modalità di acquisto in cui si annullano tutti i passaggi intermedi, si compra direttamente e soggettivamente, senza consulti, senza intermediari».

Il dato generale è quello di un’Italia che si va banalizzando, impoverendo culturalmente, attraverso la tendenza a «non approfondire, non scavare negli argomenti per capirli meglio, anzi si tende ad annullare le competenze, spesso pretendendo di averle e di entrare a gamba tesa nel mestiere degli altri: basti pensare ai genitori che pretendono di sostituirsi agli insegnanti senza aver fatto un’ora di didattica».

Una sorta di comunità-guscio che quasi si rifiuta di comprendere, di sviscerare, di indagare, «come fossimo prigionieri di un ripiegamento difensivo nomostante le grandissime potenzialità che possediamo: un paragone che si può fare con il mondo animale, considerando che gli animali senza guscio sono quelli senza spina dorsale».

Eppure, il quadro dipinto da Pagnoncelli non è affatto negativo. «Occorre mettersi in gioco, essere cosmopoliti, guardare avanti, basti pensare al grandissimo ritorno che ha avuto Milano dall’Expo 2015, proprio perché ha saputo proiettarsi in avanti senza paura anzichè chiudersi a riccio, e ora ne sta raccogliendo i frutti».

Ma, in conclusione, va tutto così male? No, la risposta è no.

«Per fare degli esempi, in economia siamo messi meglio rispetto a Francia e Spagna, mentre le nostre importazioni sono molto diversificate rispetto alla Germania».

Il Paese è fermo? «No, ci sono grandi opere da concludere! Si parla tanto di uscire dall’Europa ma sono un italiano su 4 risponde che intende uscirne. Cultura e ambiente, come le imprese green, mostrano indicatori tutti positivi, siamo secondi al mondo per industrie di legno-arredo, leader nel settore della moda, ma anche nella produzione e nell’esportazione di biciclette, nel make-up, nella farmaceutica, nelle aziende plastic free e in tantissimi altri settori».

Senza contare il capitale sociale, davvero molto prezioso in Italia. «Vantiamo una grandissima percentuale di persone che fanno volontariato e beneficenza, l’Italia conta 340mila organizzazioni no profit, un capitale sociale che altri Paesi si scordano!»

Quindi, cosa fare per uscire dal vortice di staticità che ci avvolge?

«Occorre impegnarsi a mettere in luce gli aspetti che funzionano, e sono molti. Toglierci dagli occhi la lente pessimista, e puntare sulle nostre tante potenzialità. È vero, molte sono le contraddizioni ma molte sono anche le potenzialità, e chissà che proprio ciò di cui spesso ci lagnamo possa divenire motivo di orgoglio».