Restiamo Umani / Don Domenico: «la ragione non basta a sovrastare il male»

«Restare umani significa reagire a quello che ci viene istintivo, e provare insieme a riscoprire quello che ci tiene saldamente uniti al di là delle differenze religiose, culturali e le opinioni personali».

Lo ha spiegato il vescovo Domenico Pompili concludendo l’incontro multiculturale svolto sotto il Palazzo del Governo nella serata del 20 novembre. Un appuntamento organizzato da Diocesi e Comune di Rieti che ha visto le comunità di tutte le confessioni religiose e le istituzioni presenti sul territorio convergere in ricordo dei morti di Parigi della scorsa settimana.

«Credo che questo segno del ritrovarsi qui questa sera, insieme alle diverse espressioni religiose, insieme alle diverse autorità del luogo, stia a dire un metodo» ha aggiunto il vescovo: «è quello del dialogo e del confronto che non dobbiamo mai abbandonare, soprattutto in questi momenti in cui ci verrebbe d’istinto di reagire con la stessa moneta».

Quindi don Domenico ha richiamato le due gambe sulle quali far camminare il dialogo: «due cose che spesso vengono viste come contrapposte, ma che in realtà si sostengono l’una con l’altra. La prima è la ragione, perché il sonno della ragione genera mostri. La seconda è la fede, perché il letargo della fede genera tragedie».

La ragione

Il vescovo ha infatti indicato nella ragione «la capacità di fronte a ciò che sta accadendo in questo mondo di continuare a interrogarsi. Di non fermarsi soltanto a questa tragedia, ma di allargare lo spettro di osservazione». Vuol dire «ricordare Parigi senza dimenticare Beirut, dove appena qualche giorno fa l’Isis ha fatto fuori 41 persone e fatto contare 200 feriti». «Nel mondo sono in corso ben 33 guerre che seminano violenza, dolore» ha aggiunto mons. Pompili: «Dobbiamo avere la capacità di entrare con una capacità profonda di capire quello che sta accadendo senza falsi buonismi, ma senza neanche astute contrapposizioni. Una domanda importante sarebbe: chi ci guadagna da tanta diffusione del mercato delle armi. Dov’è che si annidano queste centrali di creazione del terrore e chi in qualche modo li continua a sostenere?»

La fede

Accanto alla ragione, «importante perché ci aiuta a trovare un metro di confronto» ma che «lasciata a se stessa spesso può essere incapace di sovrastare il male» don Domenico ha precisato la forza della fede, quella «fiducia che nasce dal sentirsi dentro non il caos del mondo, ma dentro quello che è disegno di Dio».

«Dico provocatoriamente la fede Dio» ha proseguito il vescovo provando a sciogliere l’equivoco con chi in nome di Allah dà vita alla «più atroce delle bestemmie», respingendo «il sospetto che la religione sia per definizione fonte di violenza» anche se «storicamente dovremmo riconoscere che anche noi cristiani ci siamo macchiati di violenza». La domanda è se «siano stati appunto singoli uomini religiosi, o se sia la religione ad essere fonte di violenza» ha ragionato mons. Pompili cogliendo «un pregiudizio da sfatare. «La religione per definizione è ciò che può far convergere» ha spiegato e «laddove ci sono fenomeni aberranti come quelli di chi in nome della religione compie atrocità occorre immediatamente isolarli, prendere posizione netta come abbiamo avuto questa sera modo di ascoltare».

Ma per fare della religione «il collante che può far superare le differenze» abbiamo bisogno «di una fede non in letargo, ma vigile», capace «insieme alla ragione» di «mettere al riparo da verte atrocità».

La lettera

Un sentimento che secondo il vescovo si ricava dalla lettera che Antoine, rimasto solo con il figlio di 17 mesi, scrive ai terroristi che hanno «spazzato via» la vita di sua moglie: «Non so chi siete – scrive – e non voglio saperlo. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ciecamente ci ha fatto a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. È quello che cercate, ma rispondervi con l’odio sarebbe come cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi ai miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per a sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa».

«L’ho vista stamattina, finalmente – continua ancora Antoine – dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di dodici anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere dove voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno e per tutta la vita questo petit garcon vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio».

Foto di Massimo Renzi.