Musica

Renato Zero: «Il mio credo è una prova di coraggio»

Il cantautore romano presenta “Atto di fede”, 19 brani di musica sacra: «L’umiltà di dirsi cattolici è sparita, ma Dio però è sempre più Dio, ostinato a credere in noi e a perdonarci»

Sarà l’inquietudine scatenata dalla pandemia, prima, e dalla guerra poi. O, forse, più semplicemente gli anni che passano e la consapevolezza che, a quasi 72 anni, «il futuro è più corto del passato». O, forse ancora, sarà tutto questo insieme. Fatto sta che la nuova opera di Renato Zero è davvero diversa da tutto ciò che l’ha preceduta. Nel formato, innanzi tutto, perché è un progetto editoriale che prevede libro e doppio cd (edizioni Tattica, da domani nelle librerie, nei negozi di dischi e nei book store digitali) ma, soprattutto, per il contenuto. Che, peraltro, è chiaro già dal titolo: Atto di fede. Si tratta di 19 brani inediti di musica sacra che lui ha scritto e composto (con gli arrangiamenti di Adriano Pennino), ciascuno preceduto dalla lettura di una lettera di uno di quelli che ha scelto come “Apostoli della Comunicazione”. I nomi sono i più diversi: ci sono don Antonio Mazzi e Alessandro Baricco, Sergio Castellitto e Marco Travaglio, Giovanni Soldini e Walter Veltroni, solo per citarne alcuni: «Ho messo insieme l’eccellenza.

Si parla di temi importanti e non me la sentivo di gestire questo accostamento alla fede in prima persona. Avevo bisogno di condividerlo con loro che sono diversi ma accomunati dalla poesia, dall’inclinazione a essere leggeri nel senso poetico del termine». Poi ci sono, naturalmente, le canzoni. E lo sguardo e l’ascolto si fermano inevitabilmente su alcuni titoli: Parla con Dio, ad esempio, in cui il cantautore ci esorta a «dirgli tutto quello che non va, le tue ansie, le paure, quella pena in fondo al cuore, qual è il mondo che vorresti tu. Parla con Dio più frequentemente che potrai, Lui apprezza molto la sincerità»; Grazie Signore, in cui ci ricorda che «la vita è sacra, immenso chi ce l’ha donata. Lui è il giusto senso all’esistenza… Portiamo ovunque quella luce a chi non crede»; Benvenuti, per assicurarci che non dobbiamo avere paura perché «Lui vi accoglierà, Dio che vede e soffre con te, si insinua tra mille perché»; Ave Maria, perché «dove la ragione non ha più niente da imparare, Ave Maria. Non siamo mai stati così soli. E la paura è già legge».

Nella presentazione del nuovo progetto, che si è tenuta ieri a Roma, nella Sala Marco Aurelio del Campidoglio, Renato Zero era un fiume in piena. È uno che ama parlare e sono due anni che manca dal palco a causa della pandemia. Tanto che l’incontro è diventato l’occasione per presentare anche il grande ritorno dal vivo con Zerosettanta, quattro concerti-evento al Circo Massimo il 23, 24, 25 e 30 settembre in cui festeggerà, seppure in ritardo di due anni, i settanta anni di vita e i 55 di carriera. « Atto di fede è una sfida. Sono arrivato a un traguardo al quale ambivo da parecchio tempo: accarezzare Dio da vicino e fargli i complimenti per avermi gestito e mantenuto intatta la fede» spiega il cantautore, rivelando che prima di salire su un palco fa sempre il segno della croce «per chiedere di non sbagliare e riuscire a dare il massimo». Poi aggiunge: «Ci eravamo dimenticati di Dio. Non ci siamo fatti frequentare da Lui, abbiamo lasciato che la stanchezza ci impedisse di raggiungerlo. L’umiltà di dirsi cattolici è sparita, preferiamo giocare tre numeri al Totip per raggiugere quella felicità che avremmo garantita anche solo gettando uno sguardo oltre le nuvole».

Parole importanti, che Zero usa per presentare il suo disco: «Dio però è sempre più Dio. Sempre più ostinato a credere in noi. A perdonarci. Siamo le sue creature anche quando stupriamo, ammazziamo, rubiamo, spacciamo, mentiamo. Perché è così indulgente e caritatevole? È semplice: perché vorrebbe guarirci! Dalla superbia, dal rancore, dall’insoddisfazione, dalla mancanza di rispetto persino verso noi stessi. Guariremo? Considerando che la maggior parte dei mali, siamo noi stessi a scatenarli, basterebbe forse cambiare sguardo. Aprire il pugno. Riprendere il dialogo con albe e tramonti. E ridisegnarci un futuro immacolato. Dio mio… quanto sei paziente! Ma poi chissà se effettivamente ce lo meritiamo questo Dio?».

La fede, osserva «è la chiave di tutto perché ci permette di osare, di andare oltre le nostre capacità e le nostre potenzialità. A volte dovremmo superare un fosso e, invece, stiamo lì a cincischiare perché non abbiamo il coraggio di fare questo salto per paura di cadere nel vuoto». Invece, è la raccomandazione, «questo salto fa fatto tutte le mattine, anche nei momenti cruciali della malattia, del tracolo, dello sgomento, dell’apatia, quando ci sembra di non trovare la forza per continuare il viaggio. Dobbiamo avere il coraggio di sentirci difettosi e inadeguati». In chiusura torna a parlare dell’appuntamento di settembre e della sua città: «Il Circo Massimo premia la mia romanità, mi faccio gladiatore per conquistarmi ancora una volta l’applauso».

Ama Roma, la sua città, dove gli piace andare in giro: «Voglio continuare a essere lo zingaro che molti di voi conoscono. Purtroppo ci sono giorni in cui mi sono sentito straniero a Roma dove manca la voce dei romani, a Trastevere ormai senti parlare sempre più inglese». E, poi, c’è quella che definisce «l’invadenza della politica» e che lo spinge persino a lanciare un appello: «Perché non mettono il governo a Torino? Noi romani saremmo contenti anche di non essere più la capitale d’Italia, tanto siamo già la capitale del mondo. Facciamo un bando: liberiamo la città e diamo la possibilità ai romani di riprenderne possesso».

da avvenire.it