La Regola benedettina per il mondo d’oggi

«O nostri santi che in cielo esultate, vergini sante gloriose e beate, noi vi invochiamo, questa città, col vostro amore salvate, contro il nemico che l’anima tiene, contro la morte che subita viene, in ogni cuor sia pace e bene, sia tregua ad ogni dolor. Pace!». È l’inno delle scolte di Assisi, un antico canto scout: oggi le parole di questo canto suonano profetiche. Senza un miracolo di San Benedetto, senza l’intervento di San Francesco d’Assisi patrono d’Italia, senza un ritorno alle radici cristiane l’Europa rischia di diventare un grande… califfato.

Questa vigna che ha dato frutti meravigliosi di ingegno e di santità, di istituzioni quali l’università e gli ospedali e tanto altro oggi è diventata una vigna deserta, incolta. Tutti aspettiamo giustizia e invece vediamo violenza, spargimento di sangue, grida di giovani oppressi dalla disoccupazione, terre non più vangate, migliaia di fabbriche dismesse. Non è l’Europa dello spread e del relativismo che con le sue leggi vuol togliere Dio dal vocabolario; l’Europa che ha cacciato Cristo come pietra angolare sostituendolo con il dio denaro. Basta riandare a ciò che ha detto Papa Francesco a Tirana: «Quando si tocca la libertà religiosa, crolla tutto».

È l’Europa di Benedetto, dei monaci e delle monache che cantano salmi di notte, mentre nelle strade ciondolano ubriachi i ragazzi della movida; lavorano perché danno senso e dignità a qualunque lavoro, accolgono i cristiani smarriti e delusi, quelli che ci credono ancora e scappano da certe chiese dove – se ti va bene – riesci a non dormire durante una predica. Facendo del 2015 l’anno della vita consacrata, Papa Francesco ha dato un’indicazione chiara a tutto il mondo, ma specialmente a questa periferica Europa che sta affondando in una crisi che sembra non finire. È dai luoghi in cui è in atto la nuova evangelizzazione che potrà rinascere una civiltà cristiana e perciò umana, capace di uno sguardo contemplativo sulla realtà (Evangelii Gaudium, 264). «Il monachesimo non è una condizione a parte ma un punto di riferimento per tutti» (Giovanni Paolo II, Orientale lumen).

Lo ricordava anche Benedetto XVI nel suo magistrale discorso al mondo della cultura a Parigi il 12 settembre 2008. In questi luoghi, dove tra l’altro fioriscono vocazioni giovani, sta rinascendo un nuovo Medioevo, più bello e più incidente di quello antico. Ma chi se ne accorge? «La fecondità inerente alla vita monastica è quella di far rinascere l’io di tante persone e la loro umanità», come scrive Sergio Massalongo nel libro Stare dove Egli è, (Marietti 2009).

La Regola di San Benedetto dovrebbe essere studiata nei parlamenti dell’Occidente perché è l’unica che non si preoccupa di dare indicazioni sulle carote o sui piselli, ma regole che nascono da un confronto serio e lieto con la vita e quindi con la realtà. Un testo che è cresciuto con il crescere dell’esperienza umana di San Benedetto, scritta per vecchi e giovani, artigiani e contadini, nobili e poveri, robusti e deboli, pigri e accidiosi, fervorosi e obbedienti, inquieti e incorreggibili, docili e duri di cuore, malvagi e superbi: tutti costoro sono chiamati fortissimum genus, nato non da una combinazione eterologa, ma dalla risposta ad una chiamata di Dio a camminare con Lui.

Baciavano il pavimento della chiesa se sbagliavano la parola o la nota di un salmo, altro che rivendicare il diritto all’eucarestia! San Benedetto ha sentito nel suo cuore tutto il valore e il fascino della paternità; ha istruito i suoi monaci, li ha ammoniti, guidati ma soprattutto li ha amati. Il Sinodo sulla famiglia in corso di svolgimento propone la misura alta della vita cristiana, mentre ciò che resta della famiglia si sfascia sotto i colpi di leggi e di modelli di comportamento che tutto esaltano o impongano eccetto che la famiglia nata dal disegno di Dio.

Intanto nei nostri monasteri benedettini (ma non solo) di oggi, non del Medioevo, giovani con tanto di laurea puliscono i cessi, pelano le patate, pregano e studiano: un pezzo di mondo nuovo, di umanità rinnovata e felice che indora il mondo e i campi intorno come questo sole ottobrino. Sembrano fuori dal mondo, lontano dai media, ma sono dentro alla realtà più di noi, alla radice della comunicazione, noi che ci illudiamo di vivere ogni istante a contatto con il mondo intero, senza perdere nulla.