Caritas

Reddito di cittadinanza, Caritas: «Più attenzione all’inclusione lavorativa nelle politiche contro la povertà». I punti critici del decreto

In una nota predisposta per l’occasione, consultabile anche sul sito del Senato, la Caritas ha segnalato l’opportunità di intervenire su alcuni aspetti del decreto che contiene le norme sul Reddito di cittadinanza.

In una nota predisposta per l’occasione, consultabile anche sul sito del Senato, la Caritas ha segnalato l’opportunità di intervenire su alcuni aspetti. In sintesi: rivedere i requisiti di accesso per quanto riguarda la residenza, nella prospettiva di una maggiore inclusione e anche per prevenire i prevedibili ricorsi contro norme viziate da disuguaglianza di trattamento rispetto ai diritti sociali; correggere le dinamiche per la presa in carico delle persone svantaggiate, tenendo conto che la povertà ha un carattere “multidimensionale” e non si esaurisce nel problema del lavoro; riconoscere il ruolo dei soggetti sociali a livello territoriale, recuperando almeno in parte l’articolazione del welfare locale sperimentata con buoni risultati nell’attuazione del Reddito d’inclusione.

Il decreto che contiene le norme sul Reddito di cittadinanza (Rdc) sta affrontando in Senato la prima fase dell’iter di conversione in legge, al termine del quale il testo subirà certamente delle modifiche rispetto a quello originale. Nell’ambito di questo percorso parlamentare, la Commissione Lavoro di Palazzo Madama ha acquisito preliminarmente i pareri di una serie di soggetti sociali, tra cui la Caritas Italiana, che sul tema della povertà può mettere a disposizione un patrimonio unico di studi e di esperienze sul campo. In una nota predisposta per l’occasione, consultabile anche sul sito del Senato, la Caritas ha segnalato l’opportunità di intervenire su alcuni aspetti. In sintesi: rivedere i requisiti di accesso per quanto riguarda la residenza, nella prospettiva di una maggiore inclusione e anche per prevenire i prevedibili ricorsi contro norme viziate da disuguaglianza di trattamento rispetto ai diritti sociali; correggere le dinamiche per la presa in carico delle persone svantaggiate, tenendo conto che la povertà ha un carattere “multidimensionale” e non si esaurisce nel problema del lavoro; riconoscere il ruolo dei soggetti sociali a livello territoriale, recuperando almeno in parte l’articolazione del welfare locale sperimentata con buoni risultati nell’attuazione del Reddito d’inclusione (il Rei, che sarà soppiantato dal Rdc); assicurare attraverso norme transitorie un passaggio agevole e tutelato alla nuova misura per i poveri che finora hanno beneficiato del Rei.

L’analisi della Caritas parte dal riconoscimento di alcuni elementi positivi del provvedimento che «cerca di intervenire con maggiore incisività sulla componente di inclusione lavorativa delle politiche contro la povertà»; «amplia il target delle precedenti misure»; «impegna una quantità di risorse non comparabile» in confronto al passato e «incrementa in maniera significativa i finanziamenti per i servizi sociali a partire dal 2020».

A fronte di questi elementi, tuttavia, la Caritas rileva «alcune gravi criticità» in relazione ai destinatari e al modello di governo della misura, che risulta molto centralizzato, sia rispetto al ruolo delle Regioni e dei Comuni, sia nei confronti dei soggetti sociali e del Terzo settore, che sono i principali «attori di solidarietà» nei territori e non sono stati coinvolti né a livello di elaborazione, né nelle procedure di attuazione delle nuove norme.

«La previsione di una residenza di 10 anni per i beneficiari, di cui gli ultimi due continuativi – osserva in primo luogo la Caritas – esclude certamente dalla misura le persone migranti regolarmente presenti sul nostro territorio e rischia di escludere le persone in condizioni di grave marginalità, in particolare i soggetti senza dimora, prescindendo dalla loro cittadinanza». Al di fuori di una logica inclusiva, il rischio «paradossale» è che si generino o si incrementino «le condizioni di disagio grave o di disuguaglianza nell’accesso». D’altro canto, secondo la Caritas, questo requisito comporta «una lesione di diritti costituzionali e di previsioni normative europee, con il rischio di una revisione della norma, seppure differita temporalmente, che costringerà a modificare anche l’attuale previsione finanziaria».

Un altro nodo critico è la mancanza di «punti di accesso», che invece il decreto sul Rei individuava, vale a dire di «centri di orientamento che supportino le persone già nella fase preliminare di informazione sulla misura, presentazione della domanda oltre che successivamente per la compilazione della stessa e durante tutto l’iter di verifica amministrativa dei requisiti e attesa del responso».

In assenza di questi riferimenti, il rischio che si corre «è di favorire il disorientamento fra i potenziali beneficiari che non sapranno a chi rivolgersi e finiranno con il riversare queste esigenze impropriamente su Caf e Poste, a cui è affidato il solo recepimento delle domande, generando intasamento e ritardi; oppure sui servizi sociali, che non sono più titolati a svolgere questa funzione e sui soggetti del Terzo Settore, a cui questo compito non compete».

Un’altra criticità riguarda la suddivisione dei nuclei tra i due percorsi che il decreto sul Rdc prevede, quello che porta ai Centri per l’impiego e al “patto per il lavoro” e quello che conduce ai servizi sociali comunali e al “patto per l’inclusione sociale”. E’ la rilevanza del problema occupazionale rispetto alla condizione di disagio a differenziare i due percorsi. Ma la Caritas sottolinea come «l’analisi della condizione di povertà di una famiglia non possa essere ridotta all’occupabilità dei componenti adulti» e quindi i criteri individuati dal decreto, tutti di tipo amministrativo, andrebbero modificati «in modo da tenere in adeguata considerazione il profilo socio-anagrafico del nucleo, nei suoi diversi componenti, in particolare rispetto alla presenza dei minori o di condizioni soggettive di fragilità».

Così pure «l’esperienza suggerisce di promuovere maggiormente nel decreto il coordinamento tra Comuni e Centri per l’impiego qualora, nella fase successiva all’accesso iniziale presso uno dei due soggetti, si manifesti la necessità di ricorrere agli interventi previsti dall’altro».

La nota della Caritas insiste anche sul ruolo delle Regioni, la cui «strutturale collaborazione» con il livello statale è indispensabile per l’attuazione di una misura complessa come il Rdc. Il loro ruolo è fondamentale, in particolare, nella programmazione dei servizi necessari e «nella promozione di forme di collaborazione tra i diversi attori pubblici coinvolti nell’attuazione del RdC a livello territoriale (servizi sociali, Centri per l’impiego, istruzione, politiche abitative e salute) e le realtà territoriali e del Terzo Settore».