Mondo

Rapporto Unhcr: nel 2019 è stato record di rifugiati

È arrivato a 80 milioni il numero di rifugiati nel mondo, persone in fuga per confitti, persecuzioni, drammatici cambiamenti climatici, catastrofi naturali

Nel 2019, ogni giorno, per scappare da guerre, persecuzioni, drammatici cambiamenti climatici, catastrofi naturali, hanno abbandonato le loro case oltre 27 mila persone, il che fa 10 milioni in un anno, cifra che ha fatto salire il numero totale delle persone costrette alla fuga a oltre 80 milioni, l’1% della popolazione mondiale. Una cifra raddoppiata in 10 anni  e che conta 47 milioni di sfollati all’interno del proprio Paese, più di 4 milioni in attesa dell’esito della domanda di asilo, oltre 29 milioni e mezzo tra rifugiati e altre persone costrette alla fuga fuori dai propri Paesi. Cifre stratosferiche, che dimostrano, spiega Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino: “Come la pace nel mondo stia sfuggendo sempre più. I rifugiati ne sono testimoni ma non possono pagare loro per questa realtà della quale non sono responsabili”.

La maggior parte dei rifugiati proviene da 5 Paesi

Da dove scappano queste persone? Da Paesi colpiti da conflitti a lungo termine, come quello in Afghanistan, entrato nel quinto decennio. Da guerre più recenti, come quella siriana, arrivata al decimo anno e che da sola è responsabile dell’esodo di oltre 13 milioni di persone. Due terzi delle persone in fuga provengono da cinque Paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. A preoccupare molto oggi anche le zone fortemente destabilizzate della Repubblica Democratica del Congo e del Sahel. “La situazione – precisa Carlotta Sami, Portavoce UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino – diviene ancora più drammatica se si pensa all’altissimo numero di ragazzi minorenni all’epoca della fuga, stimato intorno ai 30-34 milioni, decine di migliaia dei quali non accompagnati”. Va inoltre richiamato il fatto che otto rifugiati su 10 vivono in Paesi in via di sviluppo, che spesso sono territori afflitti da insicurezza alimentare e malnutrizione grave, soggetti al rischio di cambiamenti climatici e catastrofi naturali.

È necessario un atteggiamento aperto e nuovo nei confronti di chi fugge

Il Paese che ha accolto più rifugiati al mondo è la Turchia con 3,6 milioni di persone, seguita dalla Colombia con 1,8 milioni di persone accolte, poi ci sono Pakistan, Uganda e Germania, unico Paese europeo ai primi posti della classifica. “Siamo testimoni di una realtà nuova che ci dimostra come gli esodi forzati, oggi, non soltanto siano largamente più diffusi, ma, inoltre, non costituiscano più un fenomeno temporaneo e a breve termine”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, per il quale “non ci si può aspettare che le persone vivano per anni e anni una condizione precaria, senza avere né la possibilità di tornare a casa né la speranza di poter cominciare una nuova vita nel luogo in cui si trovano”. Per Grandi quindi si rende necessario adottare “sia un atteggiamento profondamente nuovo e aperto nei confronti di tutti coloro che fuggono, sia un impulso molto più determinato volto a risolvere conflitti che proseguono per anni e che sono alla radice di immense sofferenze”.

Nel Paese di accoglienza si è come bimbi che imparano a camminare

Il pensiero di non poter tornare a casa è struggente, purtroppo, però la possibilità di organizzare e consentire il rientro dei rifugiati si è ridotto moltissimo, se negli anni 90 la media era di un milione di persone e mezzo all’anno, ora si è scesi a 385 mila. “Chi arriva in un Paese da rifugiato è come un bambino che gattona, che ha bisogno di qualcuno che lo tenga in piedi per farlo camminare bene”, testimonia Berthin Nzonza, fondatore dell’associazione Mosaico-Azioni per i rifugiati di Torino, arrivato in Italia dalla Repubblica Democratica del Congo nel 2002.  Chi fugge, è la sua grande verità, “non è un peso ma porta con sé valori e competenze che possono essere utili a chi accoglie”. “Quando lasci il tuo Paese lasci tutti i tuoi ricordi e la tua gioia”, racconta Douaa Alkoka, diciannovenne rifugiata siriana, fuggita da Damasco con la famiglia nel 2016 e che, prima di arrivare in Italia, in Calabria, ha trascorso un lungo e difficile periodo in Libano. Una testimonianza commovente di chi, dopo la paura di non riuscire ad imparare l’italiano e la tristezza di sapersi lontano dal proprio Paese, dove forse non tornerà mai, ha ritrovato la felicità e anche la possibilità di tornare a studiare.

Necessario il salvataggio in mare e fermare i ritorni in Libia

“Dietro a questi numeri che sono da capogiro e impongono una riflessione globale e collegiale da parte di tutti noi – spiega Michele Di Bari, Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione al Ministero dell’Interno – ci sono storie di dignità e fatica, tante situazioni compromesse a cui lo stato italiano intende favorire soluzioni con approccio umanitario e umano”. È Di Bari quindi a spiegare i tre fronti sui quali si è impegnata l’Italia: sul programma di reinsediamento che dal 2015 ad oggi ha visto 2.510 insediati provenienti da Libia, Sudan, Turchia, Libano e Siria; quello dei corridoi umanitari, portato avanti con la Comunità di Sant’Egidio, con la Cei, con la Chiesa evangelica e la Tavola Valdese con circa 2.500 persone ad averne usufruito e poi, come terzo canale, quello delle evacuazioni umanitarie, che ha riguardato un migliaio di persone.  Il pensiero ovviamente non può non volgersi alla bimba di cinque mesi morta nell’ultimo naufragio al largo delle coste libiche, assieme ad un altro piccolino, e il cui corpo è stato ritrovato sulla spiaggia dalla Mezzaluna Rossa. “Nessuno con la coscienza a posto può restare indifferente”, è il commento di Chiara Cardoletti, per la quale la posizione dell’Unhcr è chiara: “La situazione in Libia è molto complicata, le persone sono in estrema vulnerabilità, si ribadisce quindi l’importanza dei salvataggi in mare e la necessità di fermare i ritorni in Libia, pericolosi e difficili”.

da Vatican News