Radicalismo islamico: i combattenti “occidentali” sono quattromila

I dati sono stati resi noti dall’Osce. La Francia è in testa con 1.200 arruolati e a seguire ci sono Germania e Regno Unito con una stima di 500/600 persone. Secondo l’Icrs gli “italiani” sarebbero 80. Ma c’è chi, come Lorenzo Vidino, uno dei massimi esperti di Jihad in Italia, ritiene più attendibile il numero fornito dal ministero dell’interno, cioè “solo” 53

Il numero degli stranieri che decidono di aderire alla “causa” terroristica e unirsi alle organizzazioni jihadiste in conflitto in Siria e Iraq, continua a salire. Secondo l’ultima stima dell’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (Icsr), il totale dei combattenti stranieri supera ora le 20mila unità di cui quasi un quinto sono residenti o cittadini di Paesi dell’Europa occidentale. I dati – resi noti al Sir dall’Osce – sono stati prodotti dall’Icsr in collaborazione con la Conferenza di Monaco sulla sicurezza (Munich Security Conference). Essi comprendono stime relative a 50 Paesi del mondo per i quali erano disponibili e sufficientemente affidabili i dati ufficiali stilati dai governi. Ad eccezione di alcuni Paesi del Medio Oriente, tutti i dati sono basati su stime risalenti alla seconda metà del 2014 e si riferiscono al numero totale dei viaggiatori nel corso dell’intero conflitto.

Europa occidentale. 14 sono i Paesi dell’Europa Occidentale i cui dati possono dirsi attendibili. Si stima che il numero di stranieri provenienti da questi Paesi è salito a quasi 4.000 unità. Una cifra che è quasi il doppio rispetto alla situazione che si presentava nel dicembre del 2013 e supera le ultime stime previste da funzionari dell’Ue. I più grandi Paesi europei – Francia, Regno Unito e Germania – producono anche il maggior numero di jihadisti. La Francia è in testa con 1.200 “combattenti” e a seguire ci sono Germania e Regno Unito con una stima di 500/600 persone. Rispetto però al numero di abitanti, i Paesi più colpiti sono il Belgio, la Danimarca e la Svezia. Significa che dal Belgio sono partiti per la “causa” terroristica in Medio Oriente in 440 combattenti su una popolazione di circa 10,5 milioni di abitanti (per cui 40 ogni milione di abitanti). Dalla Danimarca invece sono partiti 27 su una popolazione di 5,5 milioni di abitanti e 19 dalla Svezia, Paese con 9 milioni di abitanti.

Resto del mondo. Il totale stimato dei combattenti stranieri in partenza da tutto il mondo per Siria/Iraq è di 20.730 unità. Questo – secondo Icsr – rende il conflitto in Siria e in Iraq la più grande mobilitazione di combattenti stranieri in Paesi a maggioranza musulmana dal 1945 ed ha superato il conflitto in Afghanistan del 1980, che, si pensa, abbia attratto fino a 20mila stranieri. Il Medio Oriente resta la fonte principale degli stranieri nel conflitto con un massimo di 11mila combattenti con un picco di 1.500/3.000 dalla Tunisia e a seguire Arabia Saudita (1.500/2500) e Giordania (1.500). Consistente è la cifra dei combattenti provenienti da Paesi dell’ex Unione Sovietica con un totale di 3.000 unità. Il Centro Studi stima che nel periodo intercorso, siano morti tra il 5-10% dei combattenti stranieri. 

Alle origini della radicalizzazione. Ma cosa spinge una persona nata e cresciuta in Europa ad arruolarsi come combattente straniero jihadsta? È attorno a questa domanda che le organizzazioni internazionali di ricerca e di sicurezza stanno cercando di rispondere per prevenire il fenomeno alle sue origini. “Il problema – conferma al Sir un funzionario dell’Osce – è capire perché le persone vengono attratte dal radicalismo”. Si tratta, a livello operativo, di un discorso complesso che chiede di agire in equilibrio tra “rispetto dei diritti umani, principio di libertà di espressione e restrizioni in caso una persona venga reputata radicalizzata”. Diversi sono i fattori che spingono alla radicalizzazione: associazione con altre persone; credenze personali; ricerca di un ruolo nella vita. Ma su un punto il funzionario Osce vuole fare chiarezza: “non dovremmo associare il radicalismo con la religione. Ogni atto terroristico è prima di tutto e soprattutto un atto criminale”.

Il caso italiano. Secondo i dati dell’Icrs i combattenti italiani sarebbero 80, ma per Lorenzo Vidino, uno dei massimi esperti di Jihad in Italia, “il numero più attendibile è quello di 53 fornito dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano”. “Si tratta – spiega al Sir – di persone dal profilo piuttosto eterogeneo che appartengono a due gruppi: i siriani, una dozzina circa, persone che vivono in Italia da diversi anni che hanno scelto di rientrare per combattere nel loro Paese. Il secondo gruppo è quello degli italiani che non hanno legami con la Siria. Tra loro vi sono alcuni convertiti, come il genovese Delnevo, dei ragazzi di seconda generazione cresciuti, se non nati in Italia e i bosniaci o più in generale i balcanici”. Cosa li spinge a combattere? “La voglia di aiutare sull’onda delle immagini di donne e bambini in difficoltà, in alcuni vi è l’attrazione religiosa e in altri quella politica con la nascita dello Stato Islamico considerato ambiente ideale nel quale vivere. Si tratta di una ideologia politica che utilizza una religione per avanzare la propria visione”. Rischi per l’Italia? “L’attenzione al tema esiste da tempo ed è supportata da un ottimo lavoro sul campo e da un sistema legislativo adatto – dichiara l’esperto – I numeri sono ridotti a differenza di quelli inglesi e francesi che pongono enormi problemi di risorse. Non c’è molto da cambiare, ciò che si sa è che ci possono essere atti che anche sistemi avanzati come quello italiano non possono fermare del tutto, siano esse azioni solitarie o pianificate. Ci vuole bravura, mestiere e anche un pizzico di fortuna”.

di Maria Chiara Biagioni e Daniele Rocchi