Racconti di un indignato pacifico

Gli scontri del 15 ottobre a Roma nel racconto di Marco Rossi, uno dei reatini che sono andati nella capitale a prendere parte alla manifestazione degli Indignados.

Questo è il racconto di un pomeriggio assurdo. Quello di sabato 15 ottobre quando, io e tanti altri, siamo partiti verso Roma. Eravamo lì perché indignati dai soliti manovratori della finanza mondiale, dalla loro incapacità di dare delle risposte, dalla superficialità di chi responsabilmente abbiamo votato e che non è in grado di risolvere problemi legati al mondo del lavoro e dell’economia.

A casa abbiamo lasciato chi non ha più la forza di manifestare o chi ha perso ogni speranza di urlare contro i cosiddetti “rappresentanti”. Arrivati in mezzo al corteo, le parole, i sorrisi, la voglia di stare lì tutti insieme, ci hanno guidato verso la piazza dove dovevamo incontrare tutti gli altri Indignati d’Italia. Ragazzi, ragazze, giovani e meno giovani, spinti dallo stesso spirito di dire qualcosa, di contare e farsi sentire, di sentire finalmente proposte, rara ed unica occasione di farsi vedere.

Tanti colori, un fiume di colori, quasi un immenso e interminabile arcobaleno ci accompagna, attraverso le strade, i marciapiedi . Ci sono proprio tutti: studenti, operai, precari, genitori, gruppi di amici che credono ancora a degli ideali e a dei valori.

Arrivati nella grande piazza di San Giovanni, attendiamo l’arrivo di altri Indignati, che condividono le nostre stesse ragioni per cui ritrovarsi a cantare, parlare e ascoltare musica, tanta musica e soprattutto per condividere l’indignazione, per dimenticare almeno un giorno, le fatiche del giorni passati e le paure per il futuro. Aspettiamo ancora un po’, perché tanto arriveranno, prima o poi, gli altri amici Indignati.

Intanto ci confrontiamo, valutiamo idee, raccontiamo esperienze. Improvvisamente l’agitazione e la curiosità si sostituiscono alla gioia in qualcuno di noi. Si sentono sirene, urla, fumo, tanto fumo all’orizzonte, tra le antiche mura di Roma . Ci guardiamo attorno, vediamo tanta gente correre verso di noi, verso le strade libere e sgombre. Dal fumo vedo uscire dei ragazzi vestiti di nero, molti di loro col casco, e gettare verso gli agenti della Polizia e i Carabinieri di tutto, sassi, cartelli stradali e tutto quello che trovano per terra. Le forze dell’ordine non ci stanno solo a tenere sotto controllo la situazione, anzi avanzano, sia a piedi, sia con le camionette.

Ne nasce un confronto duro, tra lanci di lacrimogeni e una fitta sassaiola in mezzo a tanta confusione. Gli indignati scappano, noi tutti scappiamo. Tra di noi c’è qualcuno che chiama quei ragazzi vestiti di nero “black bloc”.

Ma cosa ci fanno qui i black bloc? Cosa c’entrano loro con noi manifestanti indignati ma pacifici? Chi li ha invitati? Volevano parlare? Volevano confrontarsi con gli altri? No , vogliono solo far casino e spaccare tutto. Sono arrabbiati soprattutto con le forze dell’ordine. Dicono che tra gli indignati ci siano anche loro, ma sono violenti . E cosa c’entriamo noi con loro? Cosa c’entriamo noi che pacificamente ci siamo riuniti qui, in piazza San Giovanni? Nulla. Non abbiamo nulla da dividere con queste persone , anzi andiamo e proviamo a separarli dal nostro gruppo. Magari riusciremo a consegnarne qualcuno alla giustizia, ma sono troppo violenti e molti di noi indignati hanno paura di uscirne col naso o la testa rotti e allora arretriamo e scappiamo.

Sappiamo di correre il rischio di sentirci dire che abbiamo partecipato ai disordini e che qualche poliziotto o carabiniere , rifilandoci una bella manganellata , ha fatto pure bene, perché c’eravamo anche noi nel mucchio selvaggio. Meglio lasciarli stare i black bloc, lasciamo che ad occuparsene ci pensino le forze dell’ordine, oramai la frittata è fatta, andiamo via.

Troppi sassi, troppe macchine bruciate, troppo disordine per poter sperare che nella piazza si possa dar seguito alla manifestazione degli Indignati, torniamocene a casa e tranquillizziamo chi ci aspetta. Domani continueremo ad essere indignati lo stesso, ma non in piazza tutti insieme, ma nelle nostre case, nei posti di lavoro. La gioia della condivisione è rimasta strozzata in gola, è rimasta in piazza San Giovanni, in terra come i sampietrini, con i cartelli stradali divelti e le macchine bruciate. Siamo tutti indignati, ma noi siamo i pacifici, loro i violenti.

Chissà se tra le forze dell’ordine c’è qualche indignato. Penso di sì, perché anche loro fanno quel che il loro capo ordina di fare, sono dipendenti come tanti altri. Sono persone in carne ed ossa come noi, operai e dipendenti da qualcuno e se non lavorano, non eseguono gli ordini, li mandano a casa e magari faranno parte anche loro, la prossima volta, della manifestazione dell’indignati. Alla fine hanno vinto loro, i violenti, e quanti speravano di annullare la protesta degli indignati.

Marco, un indignato pacifico.