Una questione cruciale

Il rapporto politica-magistratura alterna fasi di particolare tensione… perché?

In Italia i rapporti tra politica e magistratura attraversano ciclicamente delle fasi di particolare tensione, come quella che stiamo vivendo. Tensione che non solo appesantisce in modo nefasto il funzionamento del sistema-Paese – e quindi la sua capacità di affrontare i problemi enormi in cui siamo immersi – ma contribuisce in misura rilevante anche al disorientamento e alla disaffezione dei cittadini nei confronti della Casa comune. La questione è così cruciale che non può essere elusa, ma concentrarsi su singoli casi – ancora tutti da definire sul piano giudiziario – rischia di essere fuorviante rispetto al quadro complessivo. Anche perché quel che sembra individuare una specificità italiana del problema – che si affaccia spesso anche in altre democrazie – è proprio il suo aspetto “di sistema”.
Che i politici (e i magistrati) colpevoli di illeciti debbano essere perseguiti è un’evidenza su cui c’è poco da discutere, almeno in teoria. Che la corruzione nella pubblica amministrazione, intesa nel senso più ampio, resti una piaga pervasiva e che quindi i magistrati debbano operare per contrastarla (anche se la corruzione non si può eliminare solo per via giudiziaria) è altrettanto incontrovertibile. Che pure ci siano dei magistrati i cui comportamenti e le cui scelte possano essere legittimamente criticati per merito e tempistica, è un fatto ben noto alle cronache e difficilmente contestabile. Ma questa descrizione spicciola e persino un po’ ovvia non aiuta a capire la radice del problema che sembra invece da rintracciarsi in una sorta di sbilanciamento del sistema. Se la politica abdica al proprio ruolo, perde autorevolezza, si mostra incapace di decidere, di assumersi le sue responsabilità, allora non si può auto-assolvere riversando sulla magistratura l’accusa di invasione di campo. Il che naturalmente non esclude una riflessione attenta sul ruolo di quest’ultima e sul suo concreto atteggiarsi in alcune situazioni.
Un esempio eclatante e al sopra della mischia quotidiana delle inchieste penali, lo si è avuto in occasione della sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale. Le forze politiche sono rimaste paralizzate in attesa prima della decisione della Consulta, poi delle sue motivazioni. Anche adesso l’iter parlamentare della riforma segna il passo, nonostante il pressante appello del Capo dello Stato ad armonizzare i sistemi di Camera e Senato. Al punto che, a meno di un’inversione di tendenza sempre auspicabile ma al momento non prevedibile, l’ipotesi più realistica è che all’inizio del 2018 si vada a votare con le leggi risultanti dagli interventi della Corte e con il rischio di non riuscire a costruire una maggioranza di governo. È una materia essenziale per la democrazia e su cui le forze politiche dovrebbero sentire una responsabilità specifica e non surrogabile.