Quando il Sud vuole…

È il caso della Fiera del Levante di Bari, riaperta e rilanciata in extremis

“Lo sviluppo del Mezzogiorno (…) è una condizione essenziale al realizzarsi dell’intero sviluppo nazionale. (…) Garantendo lo sviluppo dell’intero nostro sistema economico, la politica programmata realizzerà la prima condizione per un ulteriore progresso delle regioni meridionali, così come, agendo a loro favore, stimolandone e rafforzandone le capacità dinamiche, fornirà nuove possibilità per mantenere ad elevato livello il nostro saggio globale di crescita”. Sono parole pronunciate dall’allora presidente del Consiglio, Aldo Moro, nel 1966, alla cerimonia d’inaugurazione della Fiera del Levante di Bari, ma sono anche parole che potrebbe dire oggi – a distanza di quasi 50 anni – l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in occasione dell’apertura della 78ma edizione della campionaria, che per tradizione segna la ripresa dell’attività politica e sociale dopo la pausa estiva.

Nulla è cambiato da allora per il Sud e per la questione meridionale, che rimane – così come si poteva ricavare dal pensiero di Moro – una sorta di “linea di frontiera”, una possibilità per lo Stato di varare una sua strategia, che intenda risolvere i problemi principali del Paese facendo leva sulle sue ricchezze e sulle sue energie. Questa è ancora la chiave attraverso la quale è legittimo, per i meridionali, rivendicare una diversa attenzione dal resto del Paese: proprio quella dei termini posti da Moro, per il quale le ragioni del Mezzogiorno coincidono con le stesse ragioni della comunità nazionale nel suo insieme. Se la questione meridionale non viene posta in questi termini, si avvalla l’esistenza di un certo tipo di meridionalismo che – come diceva Gaetano Salvemini all’inizio del secolo scorso – “dalle condizioni di arretratezza del Sud finiva con il trarre motivi di giustificazione per l’assistenzialismo paternalistico ed il parassitismo”. Questo tipo di meridionalismo – che ha generato il deterioramento della qualità delle classi dirigenti meridionali, indebolendo la loro capacità di governo e la loro visione strategica, salvaguardata dalla certezza che a ripianare i disavanzi delle amministrazioni avrebbe provveduto lo Stato con i suoi interventi – è ancora molto presente e potente nel Sud e impedisce la responsabilizzazione della classe politica e delle popolazioni, oltre che la valorizzazione delle sue immense risorse storiche, artistiche, culturali, turistiche e ambientali.

Questa è la “leva” sulla quale intervenire per garantire lo sviluppo del Sud. Le altre hanno fallito. Così come hanno fallito in tutti i Sud del mondo i propositi di “assistenza” – nella maggior parte dei casi “interessata” – non accompagnati dal rispetto della dignità delle persone e della loro valorizzazione. È il Sud che deve pretendere questo nuovo approccio, per impedire che i suoi giovani laureati più capaci lo abbandonino, che i suoi territori siano devastati dalle organizzazioni criminali, che la povertà e la disoccupazione attanaglino un quarto della popolazione. Abbandoni il Sud gli stereotipi che si è “cucito” addosso, i suoi “pianti” e i “suoi” lamenti”. Sia consapevole che i problemi strutturali che vive possono essere superati e possono essere trovate anche le risorse da impiegare per affrontarli. Come ha dimostrato proprio la vicenda di quest’edizione di questa Fiera del Levante, che si è potuta aprire solo perché le istituzioni locali, all’ultimo momento e dopo alcuni anni, hanno trovato il denaro necessario per pagare gli stipendi ai dipendenti e forse anche per rilanciarla. Del resto, è una delle più importanti dell’area del Mediterraneo e questo sta a significare che il Sud, quando vuole, è in grado – nonostante i suoi problemi – di realizzare cose che non sempre sono da buttare via.