«Quando il Papa chiama, si risponde». I dieci anni di servizio del cardinale Bagnasco in Cei

Nelle 42 prolusioni del suo decennale mandato alla guida della Chiesa italiana, il cardinale Bagnasco ha affrontato tutte le questioni “scottanti” dell’attualità: dalla “c” di crisi alla “v” di vita, passando per la “t” di terremoto.

“Quando il Papa chiama, si risponde”. Con queste parole, il 7 marzo 2007, il cardinale Angelo Bagnasco ha accolto la “responsabilità grande” di essere stato scelto da Benedetto XVI come presidente della Cei, e poi riconfermato per un altro mandato da Francesco. Nelle sue 42 prolusioni – tra Consigli permanenti e Assemblee generali – c’è tutta la premura e la sollecitudine della Chiesa italiana a fianco delle vicende del Paese. Con uno sguardo di fiducia e di speranza intriso di Vangelo e della concretezza di chi, come i sacerdoti nelle parrocchie, è in prima linea nell’ascoltare la vita della gente. Nonostante il perdurare di emergenze, nodi irrisolti e derive di un’Italia in preda ad una sorta di immobilismo, la cui rotta avvitata su se stessa appare difficile da invertire.

Crisi. Nella prolusione alla sua prima Assemblea generale da presidente, nel maggio 2007, Bagnasco, definendo la Chiesa italiana “una Chiesa di popolo”, si fa già voce di una parola – crisi – che fa da cornice a tutte le prolusioni, ben prima della crisi conclamata a livello nazionale e internazionale, che scoppierà solo tra il 2008 e il 2009. È questo l’anno in cui il cardinale lancia l’allarme per la disoccupazione, soprattutto giovanile, e la precarietà. La crisi non è finita, ammonisce nel 2011: “Ad una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale”, la ricetta del 2012: “Oggi meno che mai nessuno può illudersi di salvarsi da solo”. Il rischio: rimanere “un Paese perennemente incompiuto” (2013), perché “la madre di tutte le crisi è l’individualismo”, poi ribattezzato nel 2014 come “iperindividualismo”. Oltre quattro milioni di persone vivono in condizione di povertà assoluta, la denuncia nel 2016.

Famiglia: parola chiave – insieme al lavoro – fin dalla prolusione d’esordio, nel marzo 2007, alla viglia del “Family Day” che il 12 maggio dello stesso anno avrebbe portato in piazza San Giovanni in Laterano un milione di persone. Coppie di fatto, unioni civili, “divorzio breve” – già nel 2008 – sono le principali minacce alla famiglia fondata sul matrimonio. La famiglia precede lo Stato, e il diritto del bambino viene prima di ogni desiderio individuale, il monito del 2013 a proposito del matrimonio gay. Nel 2016, forte dei dati sulla natalità peggiori dall’Unità d’Italia, la preoccupazione più grande è quella per l’inverno demografico. Vitale e costante il legame tra famiglia ed educazione (con particolare attenzione al mondo della scuola): tra le questioni bioetiche, campeggia la lotta al “gender” .

Giovani. Il mondo degli adulti è in “debito di futuro” verso i giovani, scrive Bagnasco nel 2012, anno di chiusura del suo primo quinquennio di presidenza. I giovani rischiano di rimanere i “nuovi invisibili”, soprattutto al Sud, osserva nel 2013. Nel 2016, la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è salita del 39,2%: “I giovani si stanno rassegnando”.

Immigrazione. “L’immigrazione è una realtà magmatica: se non la si governa, si finisce per subirla”, il grido d’allarme lanciato già nel 2009. Nel 2014, davanti agli occhi c’è “la tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore”, e ai quali – allora come oggi – va garantita “una vera integrazione e una vita nuova”.

Lavoro. Comincia con il rogo della ThyssenKrupp, datato 2008, l’allerta per il lavoro, costante del decennio: “Non può essere messo in ballottaggio con la vita”. Occupazione, famiglia e stato sociale, le priorità indicate nel 2016 alle forze politiche.

“La prima e assoluta urgenza resta ancora il lavoro”, si legge nella prolusione del marzo scorso.

Politica. Il primo appello, sul versante politico, è ai “politici d’ispirazione cristiana”, esortati nel 2008 ad opporsi a “proposte legislative che vanno in senso contrario all’antropologia razionale cristiana”. Alla vigilia delle elezioni di quell’anno, la Chiesa conferma – e lo farà fino ad oggi – la “linea di non coinvolgimento” in alcuna scelta di schieramento politico o di partito. “Guardare avanti”, per “superare un clima di tensione diffusa e di contrapposizione permanente che fa solo male alla società”, l’invito del 2009.

“Vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici”, il sogno del 2010.

Sono i “valori non negoziabili”, spiega Bagnasco nel 2010, alla vigilia della tornata elettorale, la bussola della politica: vita, famiglia, libertà religiosa e libertà educativa. Il “disastro antropologico” e i catastrofismi possono essere evitati solo passando dall’“io” al “noi”.

“Pensare alla gente: questa è l’unica cosa seria. Pensarci con grandissimo senso di responsabilità, senza populismi inconcludenti e dannosi”, l’appello all’indomani delle elezioni del 2013. Lavoro, famiglia, giovani, inverno demografico, le priorità del 2016.

Terremoto. Nel primo quinquennio della sua presidenza, il terremoto che ha colpito l’Abruzzo, nel 2009. Quasi al termine del secondo mandato, quello che ha devastato il Centro Italia: in entrambe le tragedie, Bagnasco fa notare che prove dure come queste mettono in luce

“il volto migliore della nostra gente”, fatto di solidarietà e resilienza.

Vita. A fare da apripista alla questione del fine-vita è la vicenda di Eluana Englaro, che crea scalpore e divisioni nell’opinione pubblica, anche cattolica. “Attendiamo una legge che possa scongiurare nel nostro Paese altre situazioni tragiche come quella di Eluana”, l’appello che dal 2009 arriva ai nostri giorni. No alla “giurisprudenza creativa” sull’inizio e la fine della vita, l’altro invito di allora, rilanciato quest’anno per le Dat.